Recensione: Controlled Demolition

Di Stefano Usardi - 12 Maggio 2019 - 10:00
Controlled Demolition
Band: Paragon
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2019
Nazione:
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72

È bello sapere che ci sono cose che non cambiano, che neanche lo scorrere del tempo riesce a far deviare di un millimetro dalla rotta prestabilita, e che sono sempre pronte ad accoglierti nel loro caldo e confortante abbraccio ogni volta che ne senti il bisogno. Ecco, io ho sempre visto i tedeschi Paragon come una delle immutabili costanti del cosmo. Sono passati tre anni dal precedente “Hell Beyond Hell” e fin dai primi secondi di questo nuovo “Controlled Demolition” si capisce che i nostri amici non hanno modificato di una virgola il loro modo di diffondere il metallo. Per chi non li conoscesse, i Paragon propongono un adrenalinico e sanguigno mix di power e speed metal di impostazione tedesca, diretto e arcigno: un affilatissimo miscuglio tra Grave Digger e Accept fatto di continui assalti chitarristici, una sezione ritmica battagliera e una voce acida e abrasiva che punta, come al solito, a prendere a randellate l’analogia power tedesco=happy metal. Le melodie che il germanico quintetto propone tra una rasoiata e l’altra sono minacciose, sinistre, senza perdere però la vena di trionfalismo che spesso traspare dai loro lavori. Immancabili i cori – non per niente siamo in Germania – ma anche in questo caso, come la tradizione di casa Paragon impone, la componente trionfale degli stessi viene messa più volte in secondo piano per esaltare invece quella intimidatoria e sobillatrice. Dal punto di vista tematico, infine, i nostri giocano con visioni distopiche, spaziando dal (pericoloso) desiderio di una vita eterna nel mondo digitale al problema del sovrappopolamento mondiale, fino alla costante distruzione del pianeta terra da parte dell’uomo.
Undici tracce per cinquantasei minuti abbondanti di durata (anche se nella versione in vinile manca la conclusiva “…of Blood and Gore”) durante i quali i baldi germani si divertono a spaccare tutto, passando da accelerazioni fulminanti a rallentamenti lugubri, assoli affilati e fraseggi dall’intenso retrogusto maligno. Rispetto al già citato “Hell Beyond Hell”, che non mi aveva del tutto convinto per via di un andamento troppo altalenante, va notato che “Controlled Demolition” si pone come un buon passo in avanti: tutte le canzoni sono più o meno sullo stesso livello, con menzione speciale per “Mean Machine”, “The Enemy Within” e “…of Blood and Gore”, e donano all’album una bella compattezza interna evitando, così, dei veri e propri passaggi a vuoto che, invece, avevano fiaccato il predecessore. Certo, a livello di ispirazione e songwriting non si può certo gridare al miracolo: il problema degli album di questo tipo è proprio che, alla fine, tutte le sue canzoni finiscono per assomigliarsi un po’ troppo; è anche vero, però, che se si ascolta un album dei Paragon è proprio per godere, almeno nella maggior parte dei casi, della loro caratteristica immutabilità, maturata in più di trent’anni di attività e dodici full lenght, per cui pretendere che i nostri si mettano a sperimentare soluzioni alternative sarebbe un po’ come andare a mangiare in un ristorante stellato e sperare di cavarsela con i soldi che spenderesti da Spizzico. Va comunque detto che ciò che ai tedeschi manca in termini di ispirazione viene compensato, almeno a questo giro, dal puro e semplice fomento dispensato, che impenna il tasso di coinvolgimento e permette di dire “Ok, è sempre la stessa minestra, però…”. Anche perché, a questo giro, pare proprio che i nostri abbiano fatto le cose per bene, grazie a un bilanciamento dei suoni giustamente avvolgente e un tasso di cafonaggine di tutto rispetto che, uniti alle succitate canzoni semplici ma indubbiamente trascinanti, evita con abile mossa l’elefante nella stanza costituito dal totale ristagno stilistico.
In ultima analisi, “Controlled Demolition” si pone esattamente nel centro del solco tracciato a suo tempo dal gruppo e dal quale, ma questo si sapeva, non intende uscire per alcun motivo, ma riesce comunque a farsi apprezzare anche da chi non si professa un fan sfegatato dei Paragon grazie al coinvolgimento che riesce a creare e al suo piglio granitico ed insolente. In soldoni: non sperate di trovare qui dentro chissà quali idee rivoluzionarie o tecnicismi cervellotici, ma se volete un album di power metal che sbricioli un po’ d’ossa senza stare a pensarci troppo su allora fatevi sotto, potreste trovare ciò che cercate.

Voto: 68
Stefano Usardi

 

Si scrive Paragon ma si legge coerenza, dedizione alla causa, abnegazione.
Gli alfieri del true metal teutonico puro come l’acqua di montagna, caldo come le fiamme dell’inferno e immacolato come la Vergine Maria, tornano sul mercato come sempre a modo loro, in sordina, senza proclami o strambe strategie di marketing che tanto vanno di moda oggi.
I veterani defender, dopo una carriera quasi trentennale dedita alla causa della sacra fiamma del vero metallo a distanza di tre anni dal sufficiente Hell Beyond Hell piazzano sul mercato la loro dodicesima mina antiuomo che prende il nome Controlled Demolition, che già dal nome è tutto un programma.

Cosa aspettarci da questa nuova fatica degli amburghesi? Beh, tutto molto semplice, dieci martellate di acciaio sulla nuca senza compromessi o contaminazioni di sorta, ignoranza dall’inizio alla fine, una pioggia di riff taglienti e scintillanti come se si fosse entrati in una fabbrica di ferro, condito da un ottima produzione metallurgica che unisce tutto insieme creando cinquanta minuti di assalto frontale senza precedenti che ti fa tornare indietro nel tempo senza che manco te ne accorgi.
I Paragon non sanno scrivere capolavori ma non crediamo manco gli interessi, loro però conoscono gli ingredienti segreti per creare dischi di vero heavy metal che vive sotto delle campane di vetro per non rischiare di essere contaminato da quelle musichette tastierose da femminucce che oggi vanno tanto di moda.
Appunto la moda, questa sconosciuta dalla premiata ditta Babuschkin & Christian i quali, secondo leggende metropolitane, usano gli stessi pantaloni di pelle dal 1994 senza mai toglierseli.
Ma d’altro canto cosa possiamo pretendere da persone che la mattina al posto del caffe bevono tre pinte di Lager accompagnate da delicatissimi crauti e salsicce? Qui abbiamo a che fare con un combo testardo, ostinato che poco ha a che fare col pessimo e inutile music business che si sta venendo a creare negli ultimi anni, dove i componenti delle band passano più tempo tra instagram e twitter anziche sudare sugli strumenti e coniare inni epici da cantare tutti insieme facendo fermare il tempo .
I Paragon sono questi, una delle poche band vere, dure e pure di true metal rimaste coerenti a se stesse che da quasi trent’anni scrivono sempre lo stesso disco, ma sempre bello, avvincente e devastante.
Nel caso di Controlled Demolition il discorso non cambia una minima virgola rispetto a tutte le release passate. Precisiamo, non si parla di un classico copia incolla ma, come detto in precedenza, di coerenza e abnegazione al genere senza mai infestarlo di sperimentazioni inutili giusto per far contento qualcuno; tuttavia, come è normale in una carriera trentennale, pure questi signori di Amburgo han passato dei momenti meno solari, con qualche uscita discografica non proprio memorabile (appunto l’ultimo Hell Beyond Hell non era di sicuro un capolavoro seppur contenente vari momenti godibili), ma in questo nuovo platter ci sono tutti i presupposti per poter affermare che i Paragon sono tornati a livelli decisamente alti.
Chiaramente non stiamo parlando di un disco che va a spostare fantomatiche asticelle verso l’alto o che rivoluziona il panorama del true metal mondiale, semplicemente aggiunge un tassello qualitativamente importante che, al giorno d’oggi, nel 2019, è cosa più unica che rara.
Una voce potente, epica e con personalità da vendere, un basso, una batteria e due asce che fanno il diavolo a quattro, sono gli unici ingredienti usati dal combo per tirare fuori queste dieci (più intro) pillole di acciaio da ingerire una dopo l’altra per farci trasformare in supereroi con i mutandoni in pelle, scudo e spada; niente più e niente meno.
Reborn, subito dopo l’intro strumentale, attacca in maniera devastante giusto per mettere in chiaro chi comanda; un brano tiratissimo che già conoscevamo in quanto primo singolo estratto dal disco con tanto di videoclip. L’essenza più violenta dei Paragon è racchiusa in questa canzone con delle strofe da cantastorie del metallo che sfociano in un ritornello fiero e maestoso.
Mean Machine ribadisce che i Paragon san scrivere metallo come pochi altri al giorno d’oggi, un mid tempo più riflessivo quasi rockeggiante fa da base a una classicissima power metal song con un ritornello che entra in testa senza neppure aver terminato l’ascolto, efficace e definitiva.
La sorpresa è dietro l’angolo, anche se propriamente di sorpresa non si tratta in quanto la band ci ha già dimostrato di saper scrivere, nelle precedenti release, brani più lunghi, articolati e oscuri che vanno leggermente fuori dai tipici schemi della band.
Deathlines rappresenta tutto questo, una song lenta e marziale della durata di quasi nove minuti, dall’incedere manowariano che non lascia prigionieri; l’andamento lento e pachidermico ricorda un plotone in guerra pronto a un esecuzione dalla quale non c’è via di scampo sino ad arrivare al ritornello che da solo vale l’acquisto di questo disco di vero acciaio, passando per il break centrale dove gli arpeggi di chitarra ricordano addirittura la scuola metal svedese più epica.
Senza volerci soffermare su tutti i pezzi una menzione la meritano sicuramente l’indiavolata The Enemy Within che viene caratterizzata per la sua velocità e una prova vocale dilaniante; Blackbell con un riff di Acceptiana memoria condito e presentato agli ospiti con un ritornello che fa sobbalzare pure un bradipo intento a fare la pennichella pomeridiana e risultando essere il più vincente del lotto in assoluto.
Spetta a  …of Blood and Gore a chiudere in maniera brutale questo disco che è risultato essere scorrevole, piacevole e privo di quei filler che vengono tatticamente messi nella maggior parte dei dischi di questo genere per dare volume per lo più quantitativo che qualitativo.
Controlled Demolition, complice una buona ispirazione collettiva della band (stiamo parlando del dodicesimo full lenght, non è da tutti), un’ottima coesione ritrovata, una produzione potentissima ma che rimane sempre orientata a quello che rimane il marchio di fabbrica Paragon con l’utilizzo di suoni si potenti ma che risultano acidi e graffianti e decisamente mai troppo compressi; risulta essere davvero un buon album che si fa ascoltare piacevolmente e scorre che è una meraviglia, e lo fa anche meglio se accompagnato da un forsennato headbanging e quei canonici tre litri di birra.

Voto: 76
Matteo Orrù

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