Recensione: Covenant

Di Giuseppe Abazia - 23 Novembre 2004 - 0:00
Covenant
Band: Morbid Angel
Etichetta:
Genere:
Anno: 1993
Nazione:
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90

L’inizio degli anni ’90 fu sicuramente uno dei periodi d’oro per i Morbid Angel e il death metal in generale: in questo lasso di tempo furono partoriti alcuni fra i lavori più influenti e importanti di questo genere, e il gruppo floridiano capeggiato da Trey Azagthoth ha ricoperto un ruolo assolutamente fondamentale nella sua crescita ed evoluzione. Dopo un esordio al fulmicotone come Altars of Madness e un album seminale come Blessed Are The Sick, i Morbid Angel dopo due soli dischi si erano affermati fra i più importanti gruppi death metal di sempre, e nel 1993 Covenant non fece che confermare le qualità del gruppo. Il merito va alle grandi capacità tecniche e compositive di elementi come il cantante/bassista David Vincent, frontman molto carismatico e dalla forte personalità, Trey Azagthoth, il cui istrionico e “caotico” chitarrismo ha fatto ormai scuola, e il potentissimo e velocissimo batterista Pete Sandoval. Ridotti ad un terzetto dopo l’uscita di Richard Brunelle dalla line-up, il gruppo con Covenant riuscì a sfornare un lavoro assolutamente spettacolare, che pur non apportando alcuna particolare innovazione nel loro sound, risultò essere ugualmente un prodotto fresco, ispirato e praticamente privo di cedimenti.

Mentre il precedente Blessed Are The Sick si manteneva su ritmi generalmente più lenti (per quanto possa essere lento un disco dei Morbid Angel), Covenant riprende in più parti l’orgia di velocità che aveva caratterizzato Altars of Madness. La maggior parte delle canzoni si assesta su ritmi molto veloci, sostenuti dal devastante drumming di Sandoval, una vera e propria macchina da guerra inarrestabile, basti ascoltare la doppia cassa in canzoni come Rapture, Vengeance is Mine o The Lion’s Den. Vero “trademark” dei Morbid Angel è però Trey Azagthoth e il suo particolare stile chitarristico, nonchè i suoi assoli intricati, caotici, che trasudano malignità da ogni nota, e di cui le canzoni sono letteralmente infarcite; un riffing piuttosto sporco (esaltato da una produzione grezza quanto basta) contribuisce poi a creare la giusta atmosfera. Anche la prestazione vocale di David Vincent è ai massimi livelli, confermandolo come uno dei migliori cantanti che il death metal abbia mai conosciuto, grazie al suo growl estremamente aggressivo e potente, ma allo stesso tempo espressivo; in questo album inoltre non viene disdegnata anche un po’ di sperimentazione con la voce, apprezzabile in God of Emptiness, dove al growl è alternato un cantato gutturale semi-pulito. Non molto udibile, purtroppo, è invece il basso (suonato da David Vincent), che è messo leggermente in secondo piano rispetto alle chitarre, ma che costituisce comunque un solido complemento al tappeto chitarristico.
Tematicamente, i testi delle canzoni non si discostano dagli argomenti tanto cari a Trey e soci, e quindi un feroce anticristianesimo e l’affermazione della potenza dell’uomo (e qui il tocco superomistico e presuntuoso di Vincent è inconfondibile).

Il disco comincia con la devastante opener Rapture, tutt’ora una delle canzoni più famose dei Morbid Angel, un pezzo tiratissimo e violento, un’apertura semplicemente perfetta che definisce immediatamente quali sono le coordinate del platter. Il massacro prosegue subito dopo con un’altra delle tracce più veloci, Pain Divine, che contiene dei riff particolarmente ispirati e alcuni fra gli assoli migliori dell’album. L’album scorre fluido e compatto snodando le sue trame attraverso tracce più “groovy” come le eccezionali World of Shit (The Promised Land) e Angel of Disease, e altre dove a farla da padrona è la brutalità più assoluta, come Vengeance is Mine, The Lion’s Den e Blood on My Hands. Particolare menzione merita Angel of Disease, con la quale sembra di fare un salto indietro ai tempi di Altars of Madness: qui le influenze thrash, particolarmente evidenti nel riffing, riemergono prepotenti (infatti questa canzone era stata scritta verso metà degli anni ’80, prima del debutto discografico ufficiale del gruppo), e David Vincent canta in un growl di tonalità più alta, molto simile a quello che usava, appunto, nel loro primo album. A seguire Sworn to the Black, il cui stile non si discosta molto da quello delle altre canzoni dell’album, e poi Nar Mattaru, atmosferico e inquietante pezzo strumentale che introduce la conclusiva, bellissima God of Emptiness: qui le ritmiche si fanno più lente e pesanti, e David Vincent fa anche uso di un gutturale cantato pulito per alcune strofe.

Forse non avrà la freschezza di Altars of Madness o l’importanza storica di Blessed Are The Sick, ma Covenant rimane uno dei lavori più riusciti dei Morbid Angel, un perverso gioiello di brutalità e velocità, e un pezzo estremamente importante della storia del death metal.

Giuseppe Abazia

Tracklist:
1 – Rapture
2 – Pain Divine
3 – World of Shit (The Promised Land)
4 – Vengeance is Mine
5 – The Lion’s Den
6 – Blood On My Hands
7 – Angel of Disease
8 – Sworn to the Black
9 – Nar Mattaru
10 – God of Emptiness

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