Recensione: Crematory – Unbroken

Di Matteo Orru - 18 Giugno 2020 - 14:59
Unbroken
Band: Crematory
Etichetta: Napalm Records
Genere: Gothic 
Anno: 2020
Nazione:
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76

Dati per finiti dopo il simbolico e affascinante “Oblivion”, tornano in pista senza fare troppo rumore i maestri del gothic tedesco e lo fanno inaspettatamente con questo ambizioso lavoro che prende il nome di “Unbroken”.

In una carriera ormai trentennale la band ne ha passate di cotte e di crude tra momenti più o meno ispirati, dischi grandiosi e altri flop clamorosi ma sempre contraddistinti da quella ostinazione e perseveranza in un genere ormai passato di moda nel quale il combo di Mannheim ripone la propria fede a oltranza.

Unbroken” è a tutti gli effetti un disco autoreferenziale nel quale i Crematory affrontano le avversità a testa alta, con fierezza e determinazioni eppure, anche questa volta, la fortuna non è dalla loro parte e li priva del maestro Tosse Basler, che in questo nuovo capitolo lascia spazio a Connie Andreszka.

Cosa aspettarsi da questo ritorno (in)atteso dei ragazzi terribili di Germania?

In una parola “qualità”: ciò che la band ha sempre saputo offrire ai propri seguaci disco dopo disco, tenendo conto di tutte le difficoltà che ha attraversato nel tortuoso percorso del music business, luogo non esattamente adatto per uno come Felix Stass, personaggio di spessore e carisma ma inamovibile dai suoi orientamenti nel genere.

Il quindicesimo sigillo dei metallers, sin dalle prime battute della opener, suona esattamente come i suoi ultimi dieci predecessori ad esclusione delle clean vocals che, per la prima volta, sono state affidate al buon Connie con dei risultati soddisfacenti da una parte ma di sicuro rivedibili dall’altra. Quindici brani per un’ora e sei minuti di buona musica non sono da tutti ed effettivamente ascoltare un disco del genere dall’inizio alla fine risulta un’opera ardua, ma cerchiamo di conoscerne i tratti salienti.

Se mentre la opener può essere definito il canonico pezzo dei Crematory “in your face” che di sicuro non ci farà balzare dalla sedia, la track list risulta essere decisamente corposa e variegata, capace di soddisfare sia i nuovi fan che quelli di vecchia data grazie a un buon equilibrio di melodie, groove, suoni potenti e tanta melodia decadente, il tutto avvalorato da un’infarinata industrial.

Nel percorso che conduce dalla title track alla conclusiva “Like The Tides” attraverseremo una serie di capitoli che, seppur alternati da inevitabili fillers, fanno ben sperare per il futuro della band.

Nulla di nuovo ma tantissima carne al fuoco per i tre mastermind Felix, Markus e Katrin, che riescono a confezionare delle perle “made in Crematory” che sono già dei classici come “Behind the Wall”, “The Downfall” e “Broken Heroes” caratterizzate entrambe dal classico groove danzereccio tipico della band, fatto di quelle pregevoli tastiere unite con parsimonia ed eleganza ai riff granitici e imponenti come dei muri, amalgamanti dal suadente e profondo growl.

La “novità” può essere identificata maggiormente sull’ugola del nuovo arrivato, che spaccherà la critica in quanto si presenta completamente differente da quella di Tosse, risultando efficace in alcuni frangenti ma non convincendo del tutto in altri.

In “Awaits Me”, ad esempio, la resa delle clean vocals è ottimale, complice una struttura del brano potente da headbanging sfrenato cosi come nella marziale “My Dreams have Died”. A non convincerci pienamente sono le riflessive “Inside my Heart” e “The Kingdom” o la conclusiva “ Like the Tides”, che insieme alla sperimentale “I Am”, oltre a non aggiungere nulla a un già buon disco, ne appesantiscono la durata e la fluidità.

Tra auto citazioni, occhiolini ammiccanti al passato e uno sguardo velato verso il futuro, i Crematory, pur non avendo scritto il disco definitivo, riescono a tirare fuori dopo mille peripezie, un buon lavoro dannatamente ambizioso per la quantità di musica insita in esso.

Unbroken” si rivela, ascolto dopo ascolto, un disco vincente, che riesce a farsi maggiormente apprezzare una volta che si assimilano tutte le sue varie sfaccettature compositive ed entrando in confidenza con le nuove clean vocals di Connie Andreszka.

In definitiva un buono e, per certi versi, inaspettato ritorno da parte del combo tedesco che non può che far felici tutti coloro che sono amanti di sonorità che spaziano dal goth, industrial ma non disdegnano un ascolto alternativo da pompare a tutto volume in auto facendo attenzione a non schiacciare troppo il piede sull’acceleratore.

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