Recensione: Crepitation of Phlegethon

Di Daniele D'Adamo - 1 Ottobre 2021 - 0:00
Crepitation of Phlegethon
Band: Occulsed
Genere: Death 
Anno: 2021
Nazione:
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65

Il ribollire del Flegetonte, terzo fiume dell’Inferno il cui fluido è il sangue dei dannati, è il tema perfetto per una band di death metal, la quale può trovare forza ed energia dalla dannata impetuosità del suo corso. Nella fattispecie, il tutto a supporto del debut-album degli Occulsed, di recente formazione (2017): “Crepitation of Phlegethon”.

I quali, pur provenendo dalla Georgia, basano il loro stile sul leggendario genere floridiano basato a Tampa, nello specifico. Stile che, è bene subito evidenziare, proprio per questa volontà di appartenenza non dà molta soddisfazione a chi volesse trovarsi fra le mani qualcosa di nuovo.

Il che non significa che l’LP sia una mera scopiazzatura di quelli di altri act. Tutt’altro. Il combo di Atlanta, infatti, si impegna con totale professionalità a produrre qualcosa di suo, di personale, che abbia una vita propria. Del resto, tutti e tre i musicisti hanno un curriculum lungo un chilometro e, quindi, una lunga esperienza in materia. Tutto questo a prescindere dalle tematiche, che non dicono nulla di nuovo giacché incentrate su racconti gore, sulla morte (ovviamente) e sull’aspro sentore di putrefazione.

Come detto lo stile si muove entro dettami fissi e inamovibili, tuttavia il terzetto a stelle e strisce riesce a creare un mood tutt’altro che superficiale. Il disco è infatti permeato da un umore cupo, tetro, oscuro. E questo grazie a un’innata predisposizione genetica che emerge nell’ambito musicale, volta a ricreare con naturalezza atmosfere horrorifiche, dense di terrore, malsane. Nelle quali ci si trova a disagio per via della tangibile sensazione di un pericolo imminente – come per esempio accade nella strumentale nonché closing-track ‘The Glory of Woe’.

Per quanto riguarda l’aspetto meramente musicale, come già accennato, niente di nuovo sotto il sole, soprattutto a livello individuale. Kenneth Parker tira le redini del gruppo con un growling soffuso, maligno, che però ha il difetto di essere sempre uguale a se stesso; nel senso che non pare variare di molto a seconda dei brani. Justin Stubbs è un mostruoso generatore di riff, dal suono un po’ zanzaroso, che mostrano una notevole compattezza grazie a una complessità encomiabile. Suono che, però, non ha la sufficiente potenza per emergere come dovrebbe dal muro di suono creato dall’act statunitense nel suo complesso. Il che è un peccato poiché si intuisce che il lavoro sugli accordi sia davvero ottimo, complicato e anche ricercato nella sua varietà compositiva. Compresi gli assoli, putride propaggini che emergono come arti di cadaveri dalla terra di sepoltura. Anche il basso, sempre retaggio di Stubbs, si fa notare per il suo rombo in sottofondo, svolgendo il suo lavoro in maniera del tutto scolastica. Chiude il terzetto Jared Moran, ottimo batterista per tecnica e tocco, ma che tende a sopraffare il resto del sound, travolgendolo con bordate su bordate di blast-beats.

Pure le song seguono il leitmotiv che permea le fondamenta sonore dei Nostri. Non particolarmente lambiccate ma al contrario piuttosto lineari, scorrono con sufficiente fluidità e compattezza, risentendo altresì anch’esse di uno stile troppo legato ai precetti tipologici che sono ubicate alla base del songwriting del platter. Pure qui, allora, è lecito aspettarsi qualcosa di già sentito tante, tantissime volte. Il che è quello che, inesorabilmente, accade.

La sensazione è che gli Occulsed possano fare di più, dato il loro substrato culturale, ma che siano troppo legati a una fattispecie di death metal che, almeno a parere di chi scrive, ha fatto ormai il suo tempo. “Crepitation of Phlegethon” non è pertanto un’opera da gettare dalla finestra ma è, e non poteva essere altrimenti preso atto delle premesse, solamente a uso e consumo dei superappassionati del genere.

Daniele “dani66” D’Adamo

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