Recensione: Dark Believer
Seguivo gli olandesi Martyr nella seconda metà degli anni ’80, quando trovai il vinile del debut album “For The Universe” (uscito nel 1985) e mi registrai la cassetta del secondo LP “Darkness At Time’s Edge” (1986); poi la band si sciolse nel 1989 e, pur avendo saputo della reunion ormai 20 anni orsono, non ho mai avuto modo di ascoltare i successivi 3 full-lengths usciti tra il 2011 ed il 2022. Quando ho avuto l’occasione di recensire questo “Dark Believer”, sesto album del gruppo fondato nel 1982, uscito a ferragosto per la greca ROAR, mi ci sono fiondato quindi con curiosità.
Volevo, infatti, scoprire come si era evoluta in questi anni la band di Rop (Robert) van Haren e Rick Bouwman, rispettivamente cantante e chitarrista, unici superstiti della formazione originale (NdR: sul debut album van Haren era già fuoriuscito dal gruppo); adesso assieme a loro c’è dal 2017 il bassista Vinnie Wassink, mentre si tratta del primo disco con il nuovo chitarrista e tastierista Justin Schut ed il nuovo batterista Elwin Molenaar. I Martyr, come già facevano negli anni ’80, alternano sapientemente speed metal ed un robusto heavy metal, anche se sinceramente trovo più convincenti i pezzi più veloci che hanno maggiore energia ed, in fin dei conti, sono anche più orecchiabili. Il vocione di van Haren è tosto e rabbioso, anche se ogni tanto dimostra di sapersi ancora cacciare sulle note più alte del pentagramma (come in “Insidious”), come ogni buon cantante di speed metal dovrebbe saper fare. Canzoni come l’opener “Darkness Before Dawn”, la già citata “Insidious”, l’ottima “Wrath Of The Fallen”, furbamente scelta per un video,
ma anche la conclusiva “Legions Of The Cross”, sono ottimi esempi di quanto detto. Le due chitarre regalano parti soliste di gusto, mentre ho trovato un po’ troppo sacrificato in sottofondo il basso che, per miei gusti personali, preferirei maggiormente protagonista. L’album è composto da 9 tracce per la durata totale di quasi 47 minuti ed ha un piacevole artwork, anche se alquanto inflazionato (sono innumerevoli le copertine con uomini incappucciati in tabarro nero), realizzato dall’artista Masiha Fattahi (nome nuovo nell’heavy metal). Il disco si lascia ascoltare gradevolmente, anche se un paio di brani soffrono leggermente per un minutaggio forse un po’ eccessivo (penso soprattutto a “The Weight Of Words” che forse con qualche taglio qua e là avrebbe potuto funzionare meglio). Sicuramente non ci troviamo davanti al full-length dell’anno, probabilmente non sarà nemmeno l’album migliore dei Martyr, indubbiamente non abbiamo un prodotto originale o innovativo, ma è un lavoro che ci consente di trascorrere circa ¾ d’ora ascoltando buona musica ed, alla fine dei conti, è quello che chiediamo quando ci mettiamo ad ascoltare un nuovo disco, come questo “Dark Believer”.