Recensione: Dark Future
Abituati ad assistere alle più svariate dissertazioni sul tema dell’evoluzione del death metal, con decine di band dedite a sperimentazioni varie, è ormai difficile trovarsi davanti a un gruppo che, invece, fa dell’old-school la propria bandiera.
Stendardo coincidente, in questo caso, con quella della Repubblica Ceca, terra dei Destroying Divinity; i quali, con “Dark Future”, fanno tris assieme ai due precedenti full-length (“…Created…”, 2002; ed “Hell Unleashed”, 2004) di una carriera partita nel 2001.
Fra le proprie influenze l’ensemble ceco cita Morbid Angel, Nile, Deicide, Immolation; anche se dal mio punto di vista la proposta è talmente nostalgica da rimandare, per quanto riguarda lo stile, ai primissimi act che a metà degli anni ottanta si spinsero nelle inesplorate terre dell’«oltre-thrash». I Morbid Angel in primis, appunto, quindi i Possessed di Larry Lalonde e gli immancabili Death di Chuck Schuldiner.
Da dimenticarsi, quindi, certe raffinate ricerche culturali e/o le contaminazioni derivanti da altri generi musicali. Il guitarwork è putrescente e gustosamente malato, il growling è un rantolante gorgoglìo, il drumming raramente ricorre ai blast-beats (“Cult”) preferendo in sua vece un granitico mid-tempo (“At War With Two Worlds”), il basso romba in sottofondo come un tornado incipiente, la melodia è completamente assente. L’atmosfera generale del platter è malsana, morbosa e oscura (“Prophecy”, “Face To Face To Destiny”): non bisognerebbe mai scordare che, in origine, il death era parente stretto del black metal, se non un’evoluzione scellerata del medesimo. Pertanto non c’è nulla di nuovo, sotto le tenebre; a parte la possibilità di fare un piacevole e degenerato tuffo nel passato: i Destroying Divinity interpretano al meglio gli stilemi indicati dall’ortodossia della categoria, non tralasciando nulla di quanto predicato in tema da Trey Azagthoth e compagni.
“Dark Future” non dura molto (trentasei minuti circa), e di ciò bisogna renderne merito al combo di Ratiskovice: una lunghezza maggiore avrebbe senz’altro generato noia e sbadigli, dato atto della foggia elementare dell’impronta stilistica. Il sound del quartetto è dannatamente incollato a se stesso, e da lì non si schioda nemmeno per un istante. Il riffing, pur nella sua semplicità, è abbastanza vario così come i laceranti soli, penetranti e dissonanti. Questo non basta per consentire ai Nostri di comporre canzoni che oltrepassino l’ordinario svolgimento di un «compitino» – seppur scevro da errori – da diligente scolaretto. Preso nella sua globalità, il disco ha un impatto comunque non indifferente, con un groove pieno e carnoso. Sbocconcellando però le canzoni una a una non rimane granché, in bocca, poiché le stesse sono poco saporite e un po’ troppo ordinarie.
Perlomeno in linea con i tempi l’esecuzione e la produzione: anche se ci si trova di fronte a una label underground, il suono non manifesta particolari punti deboli, essendo consistente e piuttosto carico di potenza. Buono l’equilibrio fra le sezioni musicali, circostanza che contribuisce a rendere solido il cordone ombelicale che alimenta i vari brani.
Giudizio che si forma da sé, alla fine.
Sufficienza sì perché il CD si lascia ascoltare con appagamento, ma niente di più perché basta tornare indietro negli anni di un buon ventennio per trovare le stesse, identiche cose.
Daniele “dani66” D’Adamo
Discutine sul forum nel topic relativo!
Track-list:
1. To Live In Gloom Of The Beyond 3:30
2. At War With Two Worlds 3:56
3. Birth Of Faceless Killer 3:44
4. Purid Stench Of Past 3:47
5. Undead In The Darkness 3:34
6. Cult 4:45
7. Prophecy 3:08
8. Name Written With Blood 3:29
9. Face To Face To Destiny 6:09
Line-up:
Erik – Vocals
Gassi – Guitar
Flagin – Guitar, Bass
Ommurtag – Drums