Recensione: Dead Man’s Path

Di Giuseppe Casafina - 4 Novembre 2015 - 12:01
Dead Man’s Path
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2015
Nazione:
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80

I Malevolent Creation sono, per chi scrive, una delle poche, reali garanzie del metal estremo.

 

5 ANNI DI ATTESA….

Considerando che ben cinque anni sono trascorsi dall’uscita dell’ultima fatica in studio dei ferocissimi floridiani la probabilità di una mezza delusione, se non proprio quella di un vero buco nell’acqua, era lecita.

Ed invece partiamo subito con il dire che alla prova dei fatti le cose mai sarebbero potute essere più rosee di come sono, l’ensemble è in stato in grazia e le note di “Dead Man’s Path” dimostrano che i Malevolent Creation possiedono tuttora, nonostante gli anni, il medesimo spirito che animava lo storico “The Ten Commandments”, uno dei dischi usciti più seminali dell’era d’oro del metallo della morte, uno di quei capolavori davvero in grado di segnare un’epoca come pochi altri nel suo genere, per una formazione che aveva, e tuttora possiede, una notevole marcia in più rispetto a molti altri sebbene stimabili colleghi.

Perché (secondo il sottoscritto, nda) i Malevolent Creation avevano una marcia in più?

Semplice, il loro death metal sin dagli esordi è sempre stato crudissimo, pesantemente tinto di quel Thrash (la T maiuscola non è a caso) purissimo che da anni devasta i colli di innumerevoli generazioni incitando all’headbanging più selvaggio: sin dagli esordi , lo stile della Creatura Malevola si è proposto come qualcosa di estremamente selvaggio e brutale, lontano  anni luce dalle accordature ribassate da macelleria dei Cannibal Corpse o le morbose chitarre a motosega dei Grave (ok che siamo in Svezia, ma sempre death metal è), proponendo un qualcosa di realmente ancorato alle origini ma non per questo derivativo per cui basterebbe ascoltare poche note per rendersi conto di cotanta malevole magnificenza.

E quindi, sempre con il famoso senno di poi, cosa renderebbe oggi i Malevolent Creation tuttora quella realtà con una marcia in più?

Risposta atrettanto semplice: basta aggiungere al composto una discografia coerentissima come poche e di livello sempre elevato nonostante alcuni cambi di formazione anche importanti (cosa difficilissima, ricordiamo la fase di “Eternal” con Jason Blachowicz al basso e microfono oppure la breve parentesi col bravissimo Kyle Simons, preso direttamente dagli Hateplow, side-project a tutto grind del leader Phil Fasciana) ed un disco come questo “Dead Man’s Hand”, che non solo continua a mantenere intatta la tradizione di alta fedeltà in casa Fasciana & soci, ma addirittura ne affina le coordinate ponendosi come uno dei platter più significativi dell’intera discografia dei Nostri Eroi.

 

QUALCOSA DI NUOVO, QUALCOSA DI VECCHIO….

Significativo dicevamo, in quanto sebbene lo stile di quest’ultimo lavoro sia di fondo sempre il classico ‘rumoraccio’ thrasheggiante, vero e proprio marchio di fabbrica segno dell’imbattibile coerenza dei Nostri, in questo atto della loro storia l’assalto all’arma bianca tipicamente Malevolent Creation presenta per la prima volta arrangiamenti e strutture più ragionate e varie all’interno dei singoli episodi, una caratteristica in grado di rendere il disco, per certi versi, il più vario della loro ricca discografia.

L’irruenza  scorre spesso sopraffina pigiando il piede sull’acceleratore mentre, quando il carro armato (chi si ricorda la copertina di “Warkult”? Ehehehe….) guidato dagli strumenti dei floridiani rallenta la sua corsa, l’effetto di mazzata sulla schiena è assicurato grazie a dei riff sempre spessi come il granito ed una produzione annichilente e precisa, perfetta “scultura” entro la quale si muovono i binari chirurgici dei Nostri.

Il tutto avviene, come al solito, mentre l’ugola slabbrata di Hoffman urla di atrocità di ogni genere come guerra, profezie e violenza di ogni genere.

Insomma, le solite cose, con qualche piccola variazione, ma fatte dannatamente bene.

 

Se l’intro dalle fortissime tinte Doom della title-track (che apre il disco in maniera decisamente inusuale) è già un qualcosa che scolpisce alla perfezione il sentiero introduttivo verso la via del la malignità umana, una volta arrivati al ‘Santuario’ di “Soul Razer” vi si rizzerà di colpo la cervicale e nessuno scampo verrà concesso al vostro capoccione, ‘condannato’ a subire la furia passiva dell’headbanging più serrato, tanto è forte è il tiro che la band esibisce una volta rientrata nei ranghi che è quello il territorio più consono (rispetto alla lentezza della title-track di apertura) per la loro ormai classica carneficina sonora.

Il disco, pur essendo a livello di riff niente più che una pura ‘Ordinaria Amministrazione’ di casa Malevolent Creation, riesce comunque a scuotere gli animi come pochi altri hanno fatto in questo 2015 in quanto possiede al suo interno numerosi passaggi davvero riusciti come ad esempio l’assolo di “Imperium (Kill Force Rising)” (forse tra i migliori episodi del disco), oppure le accellerazioni pazzesche di “12th Prophecy”,  senza dimenticare la melodicità death-oriented di “Corporate Weaponry”, condita a sua volta  da un testo di inumana ferocia….a cotanto splendore si uniscono brani dal piglio decisamente più doomy ed inusuali, che come già detto sono i veri e propri assi nella manica di questo nuovo capitolo: basti pensare al monolite morboso delle prime battute di “Extinction Personified” più tutte quelle piccole ma numerose variazioni che per la prima volta rendono il sound della band più ragionato, senza per questo mancare di aggressività.

Tutto il disco è fantasticamente coerente nel suo percorso di inumana carneficina al ritmo di ritmiche assassine,  la qualità è costantemente alta e la forza del disco sta proprio nel suo insieme: infatti, questo è il classico platter che va ascoltato dall’inizio alla fine, in quanto solo così potreste capirne appieno la sua essenza distruttiva ed avvicinarvi con incosciente pericolosità, una volta per tutte, alle porte di quell’Inferno in Terra creato dall’uomo stesso.

E quando le ultime note della conclusiva “Face your Fear” scivoleranno nel silenzio, sarà facile rendersi conto che tutto il disco sembra una rivisitazione più moderna, atmosferica e violenta proprio di quel “The Ten Commandments” (sebbene il caro “Dead….” non possa per forza di cose vantare il medesimo fascino epocale) citato ad inizio recensione, a sua volta trampolino di lancio dell’ensemble floridiano.

Una classe che è competenza di ben poche band nel panorama del metallo mortuario.

 

TIRANDO LE SOMME….

C’è poco altro da dire, se non che i fan della formazione e del death più aggressivo troveranno in questo album una sana dose di pane bollente su cui affondare, o addirittura spezzare se lo preferiscono, i propri canini.

Un grande ritorno, una grande conferma ed uno dei dischi death dell’anno: anche nel 2015 i Malevolent Creation, musicalmente parlando, continuano a godere di ottima salute e pare anzi certo che la loro storia passerà anche da qua.

Statene certi, basterà solo aspettare qualche anno.

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