Recensione: Death – Principle

Di Daniele D'Adamo - 29 Novembre 2018 - 18:07
Death – Principle
Band: Letheria
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2018
Nazione:
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74

Vent’anni.

Sono trascorsi esattamente vent’anni fra la nascita dei Letheria e il loro debut-album, “Death – Principle”. Un lasso temporale che, comunque, non è passato inutilmente, giacché nel carniere dei finlandesi ci sono sette demo e tre EP. E, naturalmente, una dose non indifferente di pazienza.

Si potrebbe subito pensare che “Death – Principle” sia un disco già vecchio, arroccato su posizioni che rimandano a lustri ormai passati, pertanto ancorato al death metal che si suonava alla fine degli anni novanta.

Così non è, poiché lo stile dei Nostri è venato, e in abbondanza, dal crust, circostanza che rende attuale e moderno il sound di “Death – Principle”; dato atto che, soprattutto nella penisola scandinava, la miscela death metal / crust, appunto, va piuttosto di moda. Difficile capire il perché di questa reminiscenza… hardcoriana che scivola fra le mani dei musicisti di parecchi ensemble nordeuropei. Facile analizzarne il risultato.

Suoni secchi, taglienti, sottili, acuminati. Che, nel caso dei Letheria, fanno bella mostra di sé all’interno di uno stile senz’altro non originalissimo ma ben definito in tutti i suoi lineamenti. M. Pellinen elargisce ai suoi compagni un cantato multiforme, a volte sconfinante in un growling acido e riarso, a volte in un urlato grezzo e ruvido; entrambi ideali per incastrarsi perfettamente nel riffing prodotto dalla sua stessa chitarra assieme a quella di A. Martin. Lineare e pulita la prova del bassista V. Pelkonen, scatenata – invece – quella del batterista E. Wuokko, autore di un drumming tentacolare, che spazia da doomosi low-tempo sino alle porte della follia, e cioè sino ai blast-beats.

Caratteristica invece poco rinvenibile in questo genere misto è la presenza della melodia. Non in tutte le song, ma solo in alcune come la formidabile ‘Fire Speaks’, brano che lascia intravedere la grande potenzialità che si nasconde dietro a un suono, apparentemente semplice e povero di arricchimenti, che possa attirare l’attenzione di più appassionati del metal estremo. In questi frangenti, i Letheria alzano davvero il tiro della qualità compositiva, marcando l’obiettivo di risultare interessanti nonché degni di nota e menzione.

Non male neppure l’opener-track, aperta da un incipit orrorifico travolto dal basso distorto di Pelkonen. Il ritmo sale rapidamente per raggiungere un contenuto energetico adeguato per lo stile proposto. In questo caso, però, la mancanza di appigli armonici rende il tutto un po’ anonimo benché questa foggia musicale così particolare abbia, tutto sommato, un suo fascino primordiale. ‘Swinelord of Devouring and Fuckin’, e i Letheria si scatenano un una fast-song straziata da fiotti di blast-beats e cori riottosi. Una particolarità che in ogni caso possiede a sua volta un suo charme, stavolta incentrato sulla mera potenza e aggressività, senza fronzoli né orpelli. Ritorna quindi la morbidezza degli accordi in ‘Pestchrist’

Alla fine non si può non riconoscere ai Letheria la capacità di adattarsi alle loro diverse interpretazioni del metallo oltranzista, non modificando mai il proprio stile. Discreti quando si limitano a far male e basta, più che buoni quando decidono di inserire qualcosa in più e cioè la melodia. In ogni caso apprezzabili, anche, per la varietà dei pezzi, diretta conseguenza di quanto più sopra osservato.

Da tenere d’occhio.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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