Recensione: Death Revival

Di Daniele D'Adamo - 21 Gennaio 2022 - 0:00
Death Revival
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Formatisi nelle terre elleniche nel 2011, gli Abyssus giungono al traguardo del secondo full-length in carriera, “Death Revival”.

Capitanati da Konstantinos Analytis, cantante e bassista nonché unico membro originario della formazione attuale, i cinque compagni d’avventura propongono un death metal dai contorni classici. Fattispecie che non deve essere confusa con l’old school, poiché, seppur echeggino propaggini provenienti dagli anni ottanta e anche novanta, si tratta di una foggia musicale impostata su specifici dettami.

I quali non sono poi molti, in quanto l’LP si mostra con un suono pulito e lineare che lascia facilmente intravederne i dettagli. La struttura del sound è impostata sul riffing delle chitarre, la cui genesi deve parecchio al thrash (‘The Beast Within’). Riffing che si sviluppa mediante accordi non particolarmente complessi, la cui forma geometrica consente una chiusura poligonale stretta. Impera la tecnica del palm-muting che comprime gli accordi stessi, dando al lavoro delle sei corde ordine e precisione.

Nulla di nuovo sotto il sole, è chiaro, tuttavia la scelta di essere più sciolti possibili si rivela essere vincente in ordine a un incedere regolare e diretto. Oltre alla schematizzazione di un altro importante segno particolare, e cioè la materializzazione di un umore grigio, freddo, che rende bene l’idea l’assenza di emozioni che siano riconducibili a stati di gioia. Come peraltro è ben sottolineato dal suono straziante del violino in apertura di ‘Genocide’, brano possente, massiccio, il quale lascia intravedere il lavoro svolto dalla sezione ritmica.

Basso a tappeto, quasi indistinguibile se non fosse per la profondità che riesce a raggiungere il sound nella sua interezza. Il drumming di Jan Westermann è forse l’elemento che più caratterizza lo stile dei Nostri. Lasciati da parte i blast-beats, imperano i mid e gli up-tempo, centrati su quattro quarti, spesso e volentieri sostenuti da una rutilante doppia cassa. Pure l’ugola di Analytis si rivela lontana da esagerazioni di sorta, affrontando le linee vocali con una robusta aggressività mediante un tono che è a metà fra il growling e le harsh vocals. Anche in questo caso si tratta di una maniera classica di approcciare l’elemento musicale, in questo caso la voce, con il mantenimento di un tono stentoreo, reso a pieni polmoni.

Tutto quanto sopra pare derivare da uno studio a tavolino che, per ben che sia stato elaborato, toglie un po’ di naturalezza a uno stile sin troppo delineato nei suoi fattori essenziali. Nel senso che “Death Revival” suona impeccabilmente ma senza che si percepisca un’anima, un cuore, sotto la dura scorza del metallo che lo ricopre.

Tale approccio scolastico si ritrova nel modus compositivo, capace di sviluppare song prive di difetti se osservate con occhio critico e distaccato. Ma, anche in questo caso, rinviene la sensazione che il tutto sia (di nuovo) scolastico e scontato. La forma-canzone tipica del rock è rispettata pressoché perfettamente, nei suoi singoli segmenti. E, di nuovo, si respira metodo ed esattezza degli agiti. Il tutto, però, senza che ci sia alcuna novità nella successione di sette brani piuttosto anonimi e pericolosamente simili gli uni agli altri. Certo, ‘Metal of Death’, l’opener-track, fa battere per bene il piede per terra a scandirne gli impeccabili movimenti. Ma non di più. Il freddo che permea lo stile, in questo caso interpretabile come un pregio, si ripropone alla base delle tracce, per le quali diviene un difetto.

Insomma, “Death Revival” è confezionato con piglio professionale, risultando in definitiva privo di difetti costruttivi. E così è anche per i singoli episodi che lo compongono. Manca, e parecchio, lo spirito artistico che soffia alito vitale nelle opere migliori. Gli Abyssus sono buoni esecutori e basta. Con che, il disco è destinato inevitabilmente a scivolare anonimamente nel dimenticatoio.

Daniele “dani66” D’Adamo

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