Recensione: Depravity

Di Daniele D'Adamo - 25 Novembre 2022 - 0:00
Depravity
65

Dal Belgio, una nuova band: gli Slaughter The Giant. Nati nel 2018, “Depravity” è il loro debut-album. Con una particolarità che salta subito all’occhio: una perfetta, equa miscela di melodic death metal e black metal.

Che genera il dilemma della corretta classificazione del gruppo. Ma che dilemma non è, poiché alla fine ciò che conta è la musica. Tuttavia, almeno per dovere di cronaca, qualcosa in merito bisogna pur scriverlo, e allora che black sia.

Soprattutto per la forte anzi fortissima caratterizzazione che Benny Ubachs, il cantante, dà al sound, visto che lo stile vocale predominante è un delirante screaming, quasi irreprensibilmente enciclopedico. Intersecato, ogni tanto, giusto per complicare la questione, da un feroce growling.

Il predetto sound, se analizzato con pazienza, a mano a mano che proseguono i passaggi sul platter, svolge il macabro sudario che lo avvolge per lasciare intravedere quello che, almeno a parere di chi scrive, è: symphonic black metal.

Una disamina probabilmente noiosa, quella suddetta, però necessaria per fornire a chi legge una precisa idea di come e cosa suonino i Nostri.

Fra i dettagli, c’è una cospicua componente sinfonica, appunto. Possenti orchestrazioni, cori femminili, poderosi intro di organi a canne (‘Ritual Abuse’), brevi tratti strumentali e inserimenti ambient permeano tutte e otto le song del disco. Gonfiando, inspessendo, rendendo profondo un sound altrimenti troppo anonimo e scolastico.

Non è che questo approccio denso di musica classica renda la miscela originale. No. Ormai il (sotto)genere è stato sondato in lungo e in largo da centinaia di act in tutto il Mondo. Nondimeno, se non altro, regala al suono prodotto dal combo belga una piacevole sensazione di pienezza, di potenza e di melodiosità.

Per il resto Ubachs e compagni pestano come dei dannati, proponendo un ritmo devastato dai continui assalti dei blast-beats eruttati dalla batteria di Joren Baert. Ritmo che, assieme al rombo tonante del basso di Daan Vangoidsenhoven, funge da tavolozza per le pennellate soliste del talentuoso chitarrista che risponde al nome di Timi Devos. Musicista di sostanza ma, anche e soprattutto, dotato di un gusto davvero sopraffino sia per quanto riguarda la parte ritmica, sia – soprattutto – quella solista.

Le canzoni, poi, partono con la title-track quasi in tono sommesso, e anche piuttosto impersonale. Salvo, quasi imprevedibilmente, salire di livello via via che le note scorrono nei loro solchi come dei fiumi in piena. Un’iperbole che dà vita a brani assolutamente interessanti e travolgenti a partire dalla già menzionata ‘Ritual Abuse’. Quasi che le prime tracce servano da riscaldamento per un songwriting lontano dall’essere appariscente ma che, a poco a poco, assume una qualità di tutto rispetto.

Messe in fila, ‘Ritual Abuse’, ‘Ecological Collapse’, ‘The Undead’ e ‘Dark Days’ regalano parecchie soddisfazioni. Costruite in maniera professionale e adulta, malgrado la band sia… giovane, esse immergono la mente nelle arcane visioni di una Terra arida, buia, distopica. Risultando così degli ottimi metodi per sfuggire da una realtà banale, piatta e senza futuro. Il che non è poco, ragionando in termini compositivi.

Si può quindi affermare che “Depravity” sia un LP riuscito a metà. Un difetto perdonabile dato atto che trattasi di un’opera prima. Le basi sia tecniche sia artistiche ci sono: agli Slaughter The Giant il compito di migliorare per emergere dal limbo in cui, ora, sono ancora intrappolati.

Daniele “dani66” D’Adamo

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Genere: Black 
Anno: 2022
65