Recensione: Dirty Deeds done Dirt Cheap

Di Abbadon - 27 Maggio 2003 - 0:00
Dirty Deeds done Dirt Cheap
Band: AC/DC
Etichetta:
Genere:
Anno: 1976
Nazione:
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80

Note per la lettura della rece recensione : di questo album è stata rilasciata una versione australiana, e una per il resto del mondo, dove cambia la disposizione delle song e vi sono presenti anche diverse song. Qui è stata fatta la rece della versione mondiale, mancano quindi “Jailbreak” e “R.I.P (rock in peace)”, a vantaggio di “Rocker” e “Love at First Feel”. Discorso cover : Purtroppo sono riuscito a trovare solo la cover della versione australiana. Quella mondiale presenta in pratica un riquadro di un tratto cittadino, con tutte le persone riprese a cui sono stati censurati gli occhi. Scusatemi per queste due imprecisioni.

Album piuttosto particolare questo “Dirty Deeds done Dirt Cheap”, particolare per il seguente motivo. Probabilmente si tratta del lavoro che ha gettato le basi per il successo internazionale della band, che da lì a pochissimi anni avrebbe sfornato, rimanendo agli anni settanta, capolavori indimenticati e indimenticabili come “Let there be Rock” e “Highway to Hell” (senza dimenticare l’ottimo “Powerage”, pubblicato tra i due mostri sacri sovraccitati), però nel contempo questa quarta fatica degli australiani è ancora a tratti molto diversa, in ritmiche ed esecuzioni, da quelli che sarebbero diventati i successivi album. Le musiche presenti sul CD sono meno frizzanti rispetto a quelle cui siamo tutti abituati, probabilmente si
sente più la vena blues, le song sono, con poche eccezioni, abbastanza lente e molto ben cadenzate, suonate su scale abbastanza basse, più basse rispetto a quelle di un “Let there be Rock”. Perfino gli assoli di Angus non sono ancora così esaltanti, rapidi e taglienti come quelli  storici, eppure se preso nel suo complesso, questo disco si conferma davvero buono, anche
nella sua diversità e nel suo sapere di un rock tipicamente del passato. La voce di Bon è abbastanza regolare, precisa come sempre, e presentante a mio avviso dei tratti molto melanconici, che si adattano però perfettamente alla ritmica e ai contesti delle canzoni. Le tracce presenti sono nove, e si dividono essenzialmente in due filoni, l’uno nel quale sono prettamente evidenziate le caratteristiche espresse poco sopra, ovvero tracks belle ma molto regolari, dal ritmo che si ripete abbastanza pur con ottima cadenza, facendo in modo che non ci si annoi comunque mai, l’altro dove si sentono già abbastanza i connotati graffianti che gli Ac/Dc avrebbero proposto nelle loro future produzioni come loro cavallo di battaglia. Certo è che tutti e due i filoni si basano tantissimo sui giochi ritmici, che lenti o veloci fanno sempre il loro lavoro, che poi è quello di rapire chi ascolta, alla grande.

Dirty Deeds si apre con la title track, “Dirty Deeds done dirt cheap”, che può essere vista come una via di mezzo tra le due tendenze poco fa descritte. Molto regolari lungo tutta la song i riff di Malcolm Young,
che si susseguono a una buona velocità, non roboante ma ricercata, accompagnati dalla batteria prima, e dalla voce di Bon poi, un pò sporca ma sempre in grado di catturare. Si sfocia nel solito ottimo refrain, non
troppo pompato ma messo nettalmente in risalto rispetto alle strofe, così come è messo in risalto Angus con l’assolo, davvero pregevole seppur non troppo spinto. Paradossalmente la cosa che mi piace di meno è quella che
forse maggiormente caratterizza la traccia, ovvero quell’ “Ahh, ahh, ahh” che fa da sfondo a tutte le strofe, e secondo me sa un pò di catarro, ma probabilmente è parte integrante del fascino della song. Lenta e blues come poche tracks nel disco, ci si presenta “Love at Fisrt feel”. Anche qui i riff sono molto lenti, la batteria detta bene i tempi, senza strafare. Realizzato molto bene il refrain a livello vocale, con un diabolico, pacifico e convincente coretto delle backing vocals che interagiscono con la voce principale. Molto molto lenta e regolare è pure “Big Balls”, dove forse si evidenzia meglio la parte melanconica accennata prima di Bon, che praticamente invece di cantare parla. Gli strumenti sono qui come mai puramente di accompagnamento, risultando tuttavia fondamentali nel risaltare la voce trainante, splendidamente supportata ancora una volta dalle backing vocals. Devastante Rock’n Roll d’altri tempi quello presente in “Rocker”, song corta dal motivetto orecchiabilissimo, in quanto la base
è stata usata per tantissime canzoni di numerosi artisti, ma un bel chissenefrega. Buonissime le chitarre, che ci prendono letteramente per mano, portandoci sulle piste da ballo a dimenarci con la fortunata signorina/signorino al proprio fianco. Bellissimo anche il mid tempo decisamente acceso ed esplosivo della mia song preferita dell’album, ovvero “Problem child”. I riff sono eseguiti sulle scale tipicamente di competenza dei fratelli Young, quindi su tonalità leggermente superiori a quelle sentite fin’ora nel CD. La carica elettrica qui si diffonde da tutti i pori, soprattutto con l’ottimo assolo e con lo splendido refrain, molto deciso ma nel contempo carismatico come pochi altri. Molto groovy e blueseggiante pure “There’s Gonna be Some Rockin'”, che ricalca anche lei ritmi tipici del primissimo rock, “Elviseggiante” se mi consentite il termine, quindi non troppo casinaro, ma di un tiro davvero unico per carica trasmessa nella sua relativa calma e musicalità. Eccellente la chitarra elettrica, che ricama le sue parti dietro la rhythm guitar per praticamente tutto il tempo. Unica nel disco e molto bella la melodia iniziale di “Ain’t no Fun (Waiting Round to be a Millionaire)”, che per ben quasi sette minuti ci trascina nei suoi riff di media velocità, puliti come forse non se ne trovano molti in casa Ac/Dc , che si ripercuotono sì su tutta la canzone, ma che non annoierebbero nemmeno se la song fosse lunga il doppio. Il refrain è legato molto bene alle strofe e il cantato segue la musica in maniera divina. A livello di pulizia, la miglior traccia di “Dirty deeds…” senza nemmeno iniziare a discutere. Tremenda la tristezza e la malinconia generate da “Ride On”, pezzo dalla musica bassa, la chitarra che fa puramente da contorno sonoro, anche se lo fa bene, una batteria che è il solo strumento che si propaga con costanza per la traccia. Dolce l’assolo e solo discreta la voce, espressiva, ma credo io non esattamente adatta a questo tipo di componimenti musicali. Decisamente meglio usarla per pezzi più carichi come “Squealer”, song dalla partenza decisamente lenta, ma esplosiva da lì a poco tempo. Squealer presenta sicuramente il miglior lavoro di basso di tutta la produzione, una chitarra all’inizio di contorno ma sempre più protagonista con l’andare avanti del pezzo, e un ritmo decisamente incalzante, che ci accompagna più che decentemente alla chiusura finale.

Beh a questo punto non resta che dire la mia in breve. Sicuramente “Dirty Deeds done Dirt Cheap” non è facilmente assimilabile da chi ha ascoltato prima altri dischi degli Ac/Dc, in quanto le prime canzoni, pregevoli musicalmente ma decisamente sotto il par come dinamismo complessivo, possono orientare ad altri lavori della premiata ditta australiana. Certo è che con l’andare avanti dell’ascolto, e a più ascolti, il disco si rivela di sicuro un lavoro molto azzeccato, particolare e gustoso. Se non avete mai sentito altri album del gruppo e un vostro amico vi consiglia questo come partenza, beh è sicuramente un ottimo punto di partenza.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) Dirty deeds done dirt Cheap
2) Love at First Feel
3) Big Balls
4) Rocker
5) Problem child
6) There’s gonna be some Rockin’
7) Ain’t no fun (Waiting Round to be a Millionaire)
8) Ride On
9) Squealer

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