Recensione: Disturbing The Peace

Di Filippo Benedetto - 17 Febbraio 2004 - 0:00
Disturbing The Peace
Band: Alcatrazz
Etichetta:
Genere:
Anno: 1985
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
80

Gli Alcatrazz, band capitanata dal vocalist Graham Bonnet (singer dei Rainbow nell’album “Down to Earth”), si formarono nei primissimi anni ottanta.  La line up del primo album, intitolato “No parole from Rock and Roll”, comprendeva, oltre al giovane virtuoso della chitarra Yngwie Malmsteen, gli ex “New England” (band dedica ad un certo AOR)  Jimmy Waldo (keyboards) e Gary Shea (al basso) oltre all’originario batterista di Alice Cooper Jan Uvena. A seguire fu pubblicato un altro disco intitolato “Live Sentenced” che segnò l’ultima apparizione di Malmsteen insieme alla band di Boonet. Dopo la dipartita di Yngwie entrò nel gruppo un altro gran virtuoso della sei corde, il giovane ma già esperto Steve Vai (ex Frank Zappa). Con il nuovo entrato la band registrò “Disturbing the peace”, disco che uscì nel 1985 e qui oggetto di recensione. Quest’album riprende il discorso a suo tempo intrapreso dal combo all’inzio della sua carriera. In sostanza il sound degli Alcatrazz prende spunto dal Rainbow e Deep Purple sound iniettandogli una (ben calibrata) dose di moderno heavy rock.
“Disturbing the Peace” si presenta essenziale fin dalla copertina, presentandosi tutta nera e con in alto il moniker della band e il titolo dell’album. Il platter, nel complesso, presenta una certa varietà di proposta musicale variando da atmosfere più chiaramente heavy-rock ad altre nelle quali si ravvisa un certo gusto AOR. Passiamo, dunque,  all’analisi dell’album nel dettaglio delle song ivi contenute. 
Si comincia con “God Bless Video”. Il pezzo inizia in modo discreto e però frizzante, grazie ad un accenno di chitarra subito seguito dalle keyboards. Irrompe poi la chitarra di Steve Vai, già ben riconoscibile nello stile, che sforna un riff accattivante sul quale trova facile spazio per stendervi un piacevole gioco di armonizzazioni. La voce di Graham Bonnet è ben impostata e nel refrain principale si fa notare per un appropriato gusto melodico. Il momento più interessante del brano arriva con l’assolo nel quale il “chitarrista alieno” da ampia prova del suo indiscusso talento. Si prosegue con “Mercy” ed è un riff di chiara matrice hard rock a porsi in evidenza. Questo sarà il riff portante, sostenuto adeguatamente da una sezione ritmica basso/batteria molto convincente alternando ritmi leggermente sostenuti ad altri più cadenzati ma in ogni modo di sicuro impatto. Tutti i membri della band forniscono ottima prova delle proprie doti, ma anche in questa song è la chitarra di Steve (Vai) ad imporsi sul resto della band con un assolo molto bello, degna commistione di tecnica e melodia di sicuro impatto. Il pezzo poi si riposizionerà lungo il riffing fondamentale concludendosi  in maniera  “spettacolare” ripetendo per almeno tre volte la  chiusura del brano. “Will You Be Home Tonight”, terza track, si fa notare per un ammorbidimento del sound impostato nei precedenti pezzi mettendo in primo piano le keyboards di Jimmy Waldo, sulle quali il buon Vai ha l’opportunità di “stendere” un tappeto di discrete armonizzazioni. Il refrain, preceduto da un leggero irrigidimento del tema fondante del brano, darà poi modo alla song di sviluppare ulteriormente la sua carica melodica grazie, soprattutto, ad un Graham molto ispirato. La successiva “Wire and Blood”, riprende in maniera decisa le sonorità hard rock precedentemente esplorate. Il riffing è diretto e accattivante, dando modo a Bonnet di cantare in maniera più “graffiante”. In quest’episodio del disco, ancora una volta, la prova di Vai è molto convincente sfornando un assolo veloce e però in linea con le linee portanti del brano. Molto ben eseguiti alcuni “stop and go” che mantengono la giusta tensione ad un brano già di per sé piacevole al primo ascolto. Si prosegue con “Desert Diamond” ed è un arpeggio per sitar morbido e abrasivo ad imporsi all’orecchio dell’ascoltatore. Le vocals, qui, si fanno meno graffianti e più concentrate sull’impatto melodico e le ritmiche sono “calde” e suadenti. Effettivamente il ritmo cadenzato della batteria sembra quasi ritmare la ricerca, a passi lenti e affaticati, del “diamante del deserto”. La tensione, quasi mistica, della song è poi espressa, con ulteriore evidenza, grazie ad un assolo perfettamente in linea con questa particolare atmosfera creata dal pezzo. Ritmiche incalzanti e riffs veloci e di forte impatto tornano a stuzzicare l’orecchio dell’ascoltatore con la successiva “Stripper”. Il brano subisce, ad un certo punto, un deciso “rallentamento” della “galoppata” ritmica per poi di nuovo riprendere il proprio standard grazie ad un assolo molto tirato. In questo caso, come nella precedente canzone, le vocals tornano ad essere graffianti dando ulteriore conferma della bravura dell’ex singer dei Rainbow. “Painted Lover”, settima song del platter, inizia con un giro di chitarra di facile impatto, impreziosito da brevi incursioni soliste, cui fa seguito un irrigidimento del riffing. Qui, nuovamente, il refrain s’impone per l’impatto melodico e i cori ben eseguiti, ma forse un po’ meno ripetività di questi e uno sviluppo alternativo del riffing avrebbe giovato maggiormente al complesso della track. “Lighter Shade of Green” è un piacevole momento nel quale possiamo ascoltare il buon Vai esprimere tutte le abbondanti doti in veste di solista. Quest’episodio sembra prendere spunto, in maniera discreta,  dal “lago dei Cigni” di Chaikovskj per poi svilupparsi in tutta la sua brevità (46 secondi per l’esattezza) lungo le sonorità tipiche del guitar hero. Con “Song and Lovers”, assistiamo ad un buon lavoro nel riffing giocato su melodie che “accarezzano” piacevolmente l’orecchio dell’ascoltatore fino all’irrompere quasi lirico del refrain che è ben sottolineato da un drumming efficace. Il disco sta per volgere a termine e la penultima “Skyfire” si giova in apertura di un pregevole gioco armonico di Vai che, grazie a ritmiche cadenzate, crea convincenti “intrecci” con le tastiere per poi dare via al vero tema del pezzo costruito su ritmiche di più diretto impatto. Il brano si dipana lungo accelerazioni delle ritmiche a momenti più rilassati nei quali Vai aggiunge un tocco di classe con brevi incursioni soliste. Di buona fattura è, poi, l’assolo che irrompe quando il pezzo riprende di nuovo a viaggiare su ritmiche sostenute. Chiude il disco l’enigmatica e originale “Breaking the heart of the city”, track che è quasi interamente giocata su un riffing quasi dissonante sostenuto da una base ritmica molto lenta e cadenzata. Questo pezzo però sembra quasi soffrire di quest’eccessiva lentezza delle ritmiche e la costante dissonanza del riff portante, privo di sviluppi di più facile impatto, sembra trascinarsi lungo tutta la durata della canzone lasciando un po’ l’amaro in bocca.
Concludendo quest’album (che si posizionò nelle classifiche billboard al 145mo posto) va ricordato non solo per la bravura qui dimostrata da Steve Vai, ma anche perchè esalta il valore di un gruppo che, nonostante la non grandissima popolarità,  è stato in ogni caso capace di sfornare un hard rock di discreto valore.

Tracklist:
01. God Blessed Video
02. Mercy
03. Will You Be Home Tonight
04. Wire And Wood
05. Desert Diamond
06. Stripper
07. Painted Lover
08. Lighter Shade Of Green
09. Sons And Lovers
10. Skyfire
11. Breaking The Heart Of The City

Band:
Graham Bonnet – vocals
Steve Vai – guitar
Gary Shea – bass
Jan Uvena – drums, percussion and background vocals
Jimmy Waldo – keyboards

 

Ultimi album di Alcatrazz