Recensione: Divine Incarnation
Negli ultimi anni il death metal ha avuto una progressione impressionante, contaminandosi con altre realtà musicali oppure evolvendo nei suoi stessi stilemi di base. Stilemi di base che, invece, alcune band che non pensano neppure per sogno di mutare. Sono quelle che praticano l’immortale old school, cioè il death metal preso nella sua forma primigenia.
Gli olandesi Supreme Pain fanno orgogliosamente parte di questa ristretta cerchia di varietà umana e lo fanno mettendo alle stampe “Divine Incarnation”, terzo full-length dopo “Cadaver Pleasures” (2008), “Nemesis Enforcer” (2009) e il classico prodotto d’apertura “Lifeless Skin And Bones” (demo, 2007). Per quest’album, la Massacre Records ha investito non poco, giacché la produzione è stata affidata all’esperto Jörg Uken (God Dethroned, Dew-Scented, Defloration, …), presso i Soundlodge Studio di Rhauderfehn (Ger).
I Supreme Pain, durante la loro breve carriera iniziata nel 2006, sono stati oggetto di numerosi cambi di line-up che ne hanno minato alla base le potenzialità artistiche, rendendo loro difficile sia la produzione di materiale omogeneo, sia l’attività live. Ora, pare che si sia trovata la quadra tenendo anche conto che il vocalist Adrie Kloosterwaard, membro fondatore, canta anche nei Sinister, altra importante death metal band olandese.
Una formazione di tutto rispetto, quindi, composta di musicisti dalla comprovata bravura ed esperienza: lo stesso Kloosterwaard (ex-Monastery, ex-Infinited Hate, ex-Blastcorps, ex-Houwitser, ex-Thanatos), Erwin Harreman (ex-Concrete Earth, ex-Ceremony), Bas Brussaard (Fondlecorpse, ex-Infinited Hate), Alesa Sare (ex-Sarcasm) e Paul Beltman (Blastcorps, ex-Judgement Day, ex-Passion, ex-Scrotum, ex-Fondlecorpse, ex-Sinister).
E, tutto questo… scibile, si traduce nelle dieci canzoni di “Divine Incarnation”. Meglio mettere subito le cose in chiaro, però: il disco non è un capolavoro. Tutt’altro. Presumibilmente, saranno centinaia le band che hanno suonato e che suonano in maniera similare ai Nostri. Tuttavia, l’esperienza non si compra da nessuna parte ed è qui che i Supreme Pain fanno la differenza con l’agguerrita concorrenza.
Il death metal sparato dalla strumentazione dell’indemoniato Kloosterwaard e compagni è un vero sfascio: bordate su bordate di riff marci e cattivi montano su un’intelaiatura dalle forme inumane, le cui basi si aggrappano a una terra arida e nera, appartenente a un Mondo in fase ormai terminale. La visionarietà musicale posseduta dal quintetto di Ridderkerk è addirittura travolgente. Le vorticose song del CD provocano una sorta di Maelström dalle dimensioni immisurabili, in cui si è definitivamente spinti dall’indescrivibile forza d’urto prodotta dal mostruoso muro di suono eretto dalle due chitarre, rinsaldato e spinto dalla terribile forza propulsiva della devastante sezione ritmica a cura dei due loschi figuri Sare e Beltman.
L’ottimo lavoro svolto in fare di produzione non ha filtrato l’anima nera che è insita dello stile compositivo dei brani, alcuni dei quali agghiaccianti nella loro esplosione sulfurea. Come “Damned Creation” (dal gigantesco guitarwork sovrabbondante nella veemenza ritmica e solista – Slayer docet) e “Spiritual Sickness”, colonna sonora per i più orrendi incubi che giacciono assopiti nella psiche umana. Giusto per fare due esempi di ‘horror death metal’.
Gli altri pezzi, oltre ai due appena citati, non sono da meno; determinati nella loro opera volta a scardinare le più recondite paure dell’animo che alimentano le spoglie mortali dell’Uomo. Non c’è un attimo di tregua, il tempo di un respiro: i Supreme Pain non mollano mai la presa con un feroce e violentissimo old school death metal, costruendo singoli episodi da sconquasso assoluto (“Treasonous Disease”, “Divine Incarnation”, “Putrefied Beauty”).
La continuità del songwriting è impressionante e non mostra, nemmeno per un attimo, il minimo cedimento sia in termini di continuità stilistica, sia in quanto a coerenza compositiva. Certo, Ridderkerk non va fuori dai canoni del genere per cui non regala nulla di nuovo al sound dell’ensemble sud-olandese. Tuttavia, la sua ugola appare rivestita di materiale a resistenza infinita, per cui dona al sound medesimo quel quid in più a suggello di un suono tanto semplice quanto efficace, tanto lontano dai tecnicismi quanto annichilente nel suo enorme impatto frontale. Se la distruzione raggiunge gli scopi prefissati con i blast-beats di “The Fallen Kingdom”, la lunga “Towards Hell” completa l’opera, rasando al suolo anche l’ultimo filo d’erba rimasto in piedi.
Nulla di nuovo, in “Divine Incarnation”. Ma, grande pregio, era da un bel po’ di tempo che un gruppo di sole cinque persone non riusciva a scatenare un simile inferno sulla Terra. I Supreme Pain ci sono riusciti in pieno. Album che non deve mancare nella collezione dei deathster meno raffinati e più inclini ad accettare l’annichilazione della materia.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Track-list:
1. Dawn Of A New Area 1:27
2. The Dark Army 3:59
3. Damned Creation 5:37
4. Treasonous Disease 5:48
5. Trapped In Heresy 6:28
6. Spiritual Sickness 4:27
7. Divine Incarnation 4:47
8. Putrefied Beauty 3:51
9. The Fallen Kingdom 4:53
10. Towards Hell 6:19
All tracks 47 min. ca.
Line-up:
Adrie Kloosterwaard – Vocals
Erwin Harreman – Guitar
Bas Brussaard – Guitar
Alesa Sare – Bass
Paul Beltman – Drums