Recensione: Doppelgängers

Di Daniele D'Adamo - 23 Gennaio 2011 - 0:00
Doppelgängers
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Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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72

«Contemporary Primal Caveman Death Metal».

Così, definiscono il proprio stile, i norvegesi Goat The Head.
Se qualcuno pensava di averne lette e sentite di tutte le forme e colori, in materia, ora è davvero servito. Guai, però, a sottovalutare la pittoresca band nordeuropea: senza perdersi in inutili sofismi, basti dire che quello propinato al Mondo è una furibonda miscela esplosiva a base di thrash e di death. Di quelli più marci e cattivi. Guai, inoltre, a mettere assieme la carnivora band con i Queen per via della copertina (“The Miracle”): se da una parte la classe era incommensurabile, dall’altra ogni forma di evoluzione musicale è stata messa da parte. Sarebbero guai, infine, a giudicare la sostanza artistica dei Nostri partendo da loro aspetto e dalla loro attitudine sanguinolenta.

“Doppelgängers” è una secchiata d’urticante death old school, distillato a 90C° per raggiungere la massima purezza… d’involuzione. L’album è il secondo di una breve carriera, cominciata nel 2005, già baciata dal bravo produttore danese Tue Madsen (Moonspell, Ektomorf, Cataract, …) al missaggio e alla masterizzazione. Produzione un po’ confusa, a volte. Fatto, probabilmente, voluto; per dare al suono quel tocco primordiale che un ensemble così primitivo esige. Un suono che si presenta quindi impetuoso e ruvido come la carta di vetro a grana grossa: Spjøtvold e compagni, infatti, si dannano l’anima per scodellare un sound brutale, pervaso da atavici odori e sapori.

Frønes pesta le pelli (si presume nell’accezione più vera del termine…) come un forsennato, mischiando trascinanti mid-tempo, devastanti blast-beats e scorazzate in doppia cassa: una belva! Se poi Kapstad non si fa sentire più di tanto con il suo metallico basso, ci pensa Sæther a frollare per bene le prede con il suo «guitarwork-motosega»: una mistura, cioè, di ritmiche e soli fatta apposta per tagliuzzare e sminuzzare. Se si ascolta con attenzione, poi, non si sfuggirà al suo vezzo d’«incappucciare» i riff con tonalità dissonanti come, ad esempio, nell’opener “Neolithic Rocket Science”. Addirittura inumana, degna quindi di un Uomo di Neanderthal, la prestazione vocale di Spjøtvold; condottiero dal piglio feroce che ha conquistato la sua leadership a colpi di growling bestiale. E il risultato di questi addendi, come si può comprendere, è un sound travolgente; un cozzo tremendo che rimanda alle lontane, sanguinose battaglie combattute con pietre e clavi. Un sound, bisogna rilevarlo, sì grezzo ma anche originale; tale senz’altro da rimanere fuori dalla metal-Storia, tuttavia ricco di brio e di personalità. In certi momenti il combo di Trondheim si fa prendere un po’ la mano, scatenando un disordine eccessivo: la precisione d’esecuzione non è quindi la peculiarità da mandare a memoria. Tuttavia quando essa è bilanciata da una genuina furia scardinatrice, l’insieme può essere efficace e piacevole; come – appunto – nel nostro caso.

Della stralunata “Neolithic Rocket Science” s’è già scritto. E le altre? Viaggiano più o meno sulla stessa falsariga dell’apripista. “This Tube Is The Gospel” (live?) è una terrificante randellata sulla schiena, lenita – «Udite udite, dico a voi, signori» – da inserti di rap (?), cori aulici e voci femminili (sic!) La migliore del lotto, sicuramente. “Salt” fa sentire nuovamente il cappello dissonante cucito da Sæther sulla testa dei suoi riff con Spjøtvold che, se proprio ci si concentra nell’ascolto, ricorda – nel ritmo delle linee vocali – Corey Taylor degli Slipknot. Per il resto, è un macello totale: tante perle di rabbia ancestrale da gustare una ad una. “Bestial Domestication”, “The Hunt Is On (Sexy Son)”, “The Ubiquitous Cube” faranno tremare le pareti della stanza dove si ascolta il CD o saltare in aria gli altoparlanti delle cuffie, se si spinge con il volume. Chiude “Primal Caveman Death Metal” che, per il suo incedere militaresco, può considerarsi l’inno dell’act della Sør-Trøndelag.

“Doppelgängers” è il classico esempio dove l’approccio diretto alla questione musicale, se ben eseguito, fa dimenticare una pulizia del suono non proprio irreprensibile. I Goat The Head, ergendosi a neo-carnivori del terzo millennio, riescono in quest’impresa. Il disco può benissimo restare a prendere la polvere sugli scaffali nei negozi, ma se per caso ci passaste proprio davanti, fatelo vostro: vi divertirete. Se non siete vegetariani.
    
Daniele “dani66” D’Adamo

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Track-list:
1. Neolithic Rocket Science 3:01    
2. Uncanny Valley Clan 3:48    
3. This Tube Is The Gospel 3:33    
4. Salt 3:31    
5. Bestial Domestication 3:34    
6. The Hunt Is On (Sexy Son) 3:28    
7. Reveille 2:02    
8. Stirring The Enigmatic Appetite 3:22    
9. The Ubiquitous Cube 4:06    
10. Primal Caveman Death Metal 3:20

All tracks 34 min. ca.

Line-up:
Per Spjøtvold – Vocals
Ketil Sæther – Guitar
Kenneth Kapstad – Drums
Trond Frønes – Bass
 

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