Recensione: E Pluribus Funk

Di Giulio Caputi - 8 Marzo 2004 - 0:00
E Pluribus Funk
Etichetta:
Genere:
Anno: 1971
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
80

Una raccomandazione, prima di ascoltare questo album ad alto volume e per apprezzarlo fino in fondo è necessario possedere uno stereo che “supporta” bene i bassi. La ritmica travolgente ed appunto i bassi ultrapotenti sono la carta vincente di “E pluribus funk”, l’opera stilisticamente più matura e definitiva del trio americano, che insieme agli Uriah heep, fu una delle formazioni rock più maltrattate in assoluto dalla critica musicale dell’epoca; non per questo però disprezzate dai fans, anzi!
I GFR devono la loro fama soprattutto alle esibizioni live, per l’epoca veramente travolgenti, piene di carica adrenalinica e di un volume sonoro distorto portato all’inverosimile. Le coordinate musicali della band erano molto semplici, fondendo un certo tipo di soul rock americano, con la potenza dell’hard rock di matrice britannica, particolarmente irresistibili risultano come dicevo i loro ritmi, che costringono l’ascoltatore a muoversi in qualche modo (merito del feeling e dalla passione che scaturisce dalla loro musica). A dispetto del nome del gruppo e del titolo di questo album, di funk vero e proprio qui ne troviamo poco, infatti questi possono trarre in inganno, perché qui ci troviamo di fronte ad una vera e propria hard rock band nel senso più classico del termine. Certo il lavoro della chitarra non è particolarmente tecnico, però riffs troppo ricercati per questo tipo di musica così immediata stonerebbero senza dubbio.
Si parte a “bomba” con “footstompin’ music” brano che diventerà in seguito un classico nei concerti futuri della band, introdotto dalla micidiale accoppiata basso batteria Schacher/Brewer (a mio modo di vedere una delle migliori sezioni ritmiche di sempre!) che si fonde al suono dell’hammond suonato dal chitarrista cantante Mark Farner. Mi soffermo un attimo per sottolineare l’incredibile timbro vocale di Farner, molto più simile ai cantanti Gospel di colore che agli altri singers “bianchi”, dotato voce potente e pulita, e di una grande carica sensuale che dona ancora maggior freschezza e senso di libertà (come sottolineato dai testi) a tutte le canzoni. Anche il batterista Don Brewer con la sua voce roca e su toni nettamente più bassi in alcuni pezzi contribuisce a dare un tocco di originalità in più al disco.
Il vero capolavoro è però “people let’s stop war” che già il testo (all’epoca l’America era in piena guerra del Vietnam) rende speciale, ma è tutta la canzone (e rischio di ripetermi) che è un vero e proprio assalto sonoro, tra l’altro arricchita da un basso distorto che rende tutto ancora più incisivo. Sulla stessa linea ma forse con minore intensità seguono “Upsetter” e “I come tumblin’ “, quest’ultima però è un’altra gran bella canzone da ascoltare a tutto volume, soprattutto se siete in viaggio in macchina o su qualsivoglia mezzo di trasporto magari di fronte ad un bel panorama, vi rassicuro che l’effetto è garantito. La quinta traccia è “save the land”: pezzo sofferto, con un bel testo, anche questo riferito alle tantissime perdite subite dall’esercito americano in quegli anni. Dopo la discreta (ma niente più) “No lies” ecco che arriviamo a “Loneliness” , una canzone di otto minuti, davvero commovente e romantica, in cui tutte le caratteristiche del gruppo riassunte prima escono allo scoperto, trasportando l’ascoltatore in uno stato sognante, con la solita bellissima interpretazione vocale di Farner. Purtroppo questa traccia così come tutto l’album è finito presto nel dimenticatoio, a mio modo di vedere, potrebbe essere una di quelle gemme che è sempre piacevole rispolverare e che toccano piacevolmente sia il lato animalesco che quello intimo presente in ognuno di noi.
I GFR furono insieme ai Blue Oyster Cult, I Ten Years After ed i Mountain, uno dei pochi gruppi Hard rock americani, a tenere testa durante i primi anni ’70 alle blasonatissime (di diritto) band Britanniche, e se riuscirono (almeno in parte) in questo intento, è giusto che meritino anche loro la dovuta considerazione.

Line up:
Mark Farner: Guitar, Vocals, Hammond
Don Brewer: Drums, Vocals
Mel Schacher: Bass

Ultimi album di Grand Funk Railroad