Recensione: Epilogue

Di Daniele D'Adamo - 16 Aprile 2021 - 0:00
Epilogue
Band: To The Grave
Genere: Death 
Anno: 2021
Nazione:
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65

Australia.

Continente dei deserti, delle coste coralline, degli squali, degli aborigeni e… del deathcore. Il quale, chissà per quale motivo, ha attecchito nei metallari di laggiù come cozze abbarbicate agli scogli. Deathcore duro, violento, pompato dai decibel del brutal death metal, (sotto)genere che lo influenza in maniera decisiva.

I To The Grave, giunti alla loro terza fatica discografica, “Epilogue”, fanno parte di questa stirpe dannata, dando alle stampe la summa della loro esperienza decennale nel campo di cui trattasi.

Suono praticamente perfetto, rispondente in toto agli stilemi di base, i quali lo vogliono tagliente come la lama di un rasoio. E così è. Continui stop’n’go, dettati da un drumming saltellante, complesso, mai uguale a se stesso, squarciano l’atmosfera come i fulmini abbaglianti illuminano le notti più buie. Il basso materializza l’energia acustica che proviene dagli strappi dell’aria, e cioè il rombo di un tuono continuo, possente, in eterno movimento in sottofondo alla musica, se ascoltata in maniera tridimensionale.

Le due chitarre comprimono le molecole dell’aria stessa, con il perpetuo utilizzo dell’arcaica tecnica del palm-muting, spesso duettando con la batteria per dare più forza possibile all’onda d’urto che proviene dal CD quando i cinque ragazzi di Sidney lavorano all’unisono. Vietata la melodia, assente assoluta in un sound che fa della ruvida dissonanza il proprio cavallo di battaglia. Sono presenti alcuni inserimenti ambient, che tuttavia vengono immediatamente cancellati da uno stile che interpreta il deathcore nel modo più fedele possibile alla sua definizione enciclopedica.

Dane Evans, con la sua ugola a mille gradi centigradi, si dimostra degno compare dello sfascio chirurgico operato dagli altri quattro compagni di avventura. Soprattutto perché riesce a intonare, per così dire, più stili, con il growling a farla da padrone indiscusso. Oltre a esso, infatti, s’intersecano clean e harsh vocals che portano alla pazzia per come siano interpretate in modo così estremo, esasperato.

Nonostante la mostruosa quantità di musica che, come linfa vitale, muove le diciannove canzoni del disco, l’intelligibilità dell’insieme è sorprendente. Una delle caratteristiche, questa, propria solo e soltanto delle migliori manifestazioni deathcoresche.

Ecco, a proposito di canzoni, qui s’inciampa il combo dell’emisfero australe. Nonostante, come già accennato, la presenza di qualche inserimento atmosferico, il songwriting non mostra particolari peculiarità che lo distinguano dalla media di coloro che si dilettano a frantumare le mascelle come i Nostri. Deathcore stilisticamente perfetto ma un po’ anonimo, reso tale per via di un’uniformità concettuale tale da non consentire lo scoppio delle song. Scoppio inteso in senso artistico, ovviamente. Seppure anch’esse siano state elaborate seguendo pedissequamente lo standard tipologico, anche a passare e ripassare sul rovente sentiero che porta da ‘Holocaustralia : Global Warning’ a ‘The Ghost of You’ non si riesce a entrare nel full-length per via di una tecnica, spaventosa, bisogna ammetterlo, che azzera nondimeno le varie differenze fra una traccia e l’altra.

Un difetto abbastanza rilevante, contrastante un’esecuzione invece mostruosa, limitativo della longevità dell’album per il quale è in perenne agguato, come un paziente avvoltoio, la noia. Il che rende poco fruibile l’LP, quasi fosse intrappolato, stretto, soffocato nelle spire sonore da esso stesso create.

Il che, in buona sostanza, rende “Epilogue” un lavoro adatto solo e soltanto ai più feroci appassionati del deathcore ad alto grado di disarmonia. Del resto, questo è l’approccio-tipo dei To The Grave, per cui era ed è inutile aspettarsi qualcosa di diverso dal loro granitico modus operandi.

Daniele “dani66” D’Adamo

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