Recensione: Epilogue Of Masquerade

Di Daniele D'Adamo - 5 Luglio 2013 - 17:50
Epilogue Of Masquerade
Band: Hateful
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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71

 

Una formazione nata nel lontano 1997, quella dei nostrani Hateful, che, dopo l’exploit di un demo nel 2000 (“After The Last Breath”), è piombata nel buio di un lungo inverno nucleare. Per riemergerne dapprima grazie a uno split con Hellspawn e Impureza (“Tworzenia, Resurrezione, Démence”, 2006), poi a due full-length in sequenza: “Coils Of A Consumed Paradise”, 2010, ed “Epilogue Of Masquerade”, di quest’anno.

Proprio quest’ultimo lavoro, che incarna il raggiungimento della maturità tecnico/artistica da parte della band modenese, si aggiunge ai tanti tasselli che compongono il mosaico del death metal italiano; il cui livello medio è senza dubbio allineato, oramai, a quello delle migliori nazioni come Polonia, Svezia, Canada e USA.

In questo specifico caso l’aver raggiunto la maggior età s’identifica, soprattutto, nell’equilibrio pressoché perfetto che bilancia con precisione gli ingredienti necessari ad amalgamare quello che si può definire, con estrema semplicità, … ‘death metal’. Sì, poiché fra i numerosissimi sottogeneri che esso ormai abbraccia (technical, brutal, melodic, old school, swedish, slamming, blackened, *-core, …), alla fine diventa paradossalmente complicato mettere assieme un sound che sappia mettere in fila, con piglio adeguato ai tempi moderni, i vari frammenti che insieme danno luogo, appunto, al ‘death metal e basta’. Un death metal che sa davvero di autentico, di cristallino, d’incontaminato; scevro da imbastardimenti, accelerazioni evolutive, ammennicoli e orpelli. Un death metal per ciò abbastanza difficile da paragonare a quello di altre band, se non usando dei termini di confronto materializzabili in vere e proprie leggende della purezza fatta death come per esempio Vader e Immolation.    

Ecco, quindi, che in “Epilogue Of Masquerade” si trovano, elencati come in ordine enciclopedico, tutti i dettami che ‘ci devono essere’ affinché un disco suoni come sopra descritto. Il tono stentoreo e vigoroso che sostiene il growling del leader e polistrumentista Daniele Lupidi è ciò che salta all’orecchio per primo. Ovviamente non si deve guardare all’originalità sennò si perde il filo non solo del discorso ma quello del concetto, per cui non si può che apprezzare la linearità e la coerenza con le quali Lupidi estrinseca il suo stile rabbioso senza mai esagerare né in suinate, né in gorgoglii; nel rispetto di una costanza e fedeltà totale a se stesso. Lo stesso Lupidi, assieme a Massimo Vezzani, tesse un’elaborata ragnatela di riff dal suono granitico, un po’ sporco, raramente zanzaroso ma anzi ricco di rimandi al suono compresso e stoppato del thrash. Ancora Lupidi, stavolta al basso, manipola delle linee lungi dagli arzigogoli a volte se non spesso ridondanti di certi act super-tecnici, riempiendo le frequenze lasciate libere dalle sei corde con vigore e agilità, arricchendo in particolar modo la profondità di un sound frontale e diretto come un maglio d’acciaio. Il terremotante drumming di Marcello Malagoli, infine, chiude la quadra con furore, scatenando micidiali bordate di blast-beats e fulminei cambi di tempo senza tuttavia perdere l’obiettivo di fondo, cioè rafforzare quanto più possibile la forza dell’impatto frontale prodotto dall’ensemble emiliano.      

Impatto che si può godere, in tutta la sua energia cinetico/potenziale, già nell’opener “Artifacts Of The Damned”, il cui ruvido assalto non può che mietere molte vittime, specialmente in occasione del tremendo break centrale rallentato. Buona anche “Corrupting The Veils That Keeps The Mind Sane”, ben compensata (ma non poteva essere altrimenti…) nei suoi segmenti lenti/veloci. Apprezzabile, ancora, il rabbuiamento dell’umore che si respira in “It Once Was Light”.

Insomma, “Epilogue Of Masquerade” va via senza travolgenti sussulti ma pure senza cadute di tensione o riempitivi: i suoi trentuno minuti di durata ci sono tutti, e nemmeno uno di essi pare esser buttato lì a caso. Certo, il suo integerrimo rigore stilistico mina ogni velleità progressista degli Hateful ma, del resto, non pare proprio esser questa, la loro principale preoccupazione.   

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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