Recensione: Erasing The Remembrance
I Doomraiser non sono, oramai, un nome nuovissimo alle orecchie dei seguaci
del doom, sopratutto per chi ha gli occhi puntati su una scena italiana in
grande crescita (sempre in rapporto alle proporzioni del genere in questione).
La band esce allo scoperto nel 2004 con il demo Heavy Drunken Doom, trentasei
minuti divisi per sole tre tracce registrate in presa diretta e che catturano
l’attenzione della Iron Tyrant Records, la quale darà la possibilità al combo romano di
registrare il full-length d’esordio due anni più tardi. Dopo la release
dell’ottimo Lords Of Mercy, seguito da una serie di date sia italiane che estere
(su tutte il tour insieme ai Solace), il combo capitolino torna oggi a farsi
sentire con Erasing The Remembrance, secondo studio album ufficiale edito dalla
Blood
Rock Records.
Ricetta tanto semplice e derivativa, quanto efficace e convincente quella
della band capitolina: un sound nettamente stoner-doom che affonda le proprie
radici nelle lezioni impartite da gruppi del calibro di Black Sabbath, Kyuss,
Goatsnake, Cathedral e Reverend Bizarre su tutti. Rispetto
al precedente Lords Of Mercy, il combo romano cambia prima di tutto una produzione che,
rispetto alla più moderna e pulita adottata in precedenza, diventa più grezza,
leggermente scarna e dal retrogusto settantiano. Poche variazioni invece a
livello di songwriting, dove a regnare sovrana è sempre un’atmosfera lugubre e
rarefatta ricreata da pochi ed essenziali accordi di chitarra, che si ripetono
ossessivamente all’interno di brani contraddistinti come sempre da una durata
considerevole (fra i dieci e i quindici minuti circa). Pezzi piuttosto prolissi
quindi e, come è giusto che sia, anche abbastanza difficili da digerire al primo
impatto, ma non per questo ripetitivi e noiosi. Il vero è proprio punto di forza
delle composizioni dei Doomraiser è infatti il saper alternare in ottimo modo
parti più lente, riflessive e a volte soffocanti, con sfuriate energiche e
aggressive, ma che comunque non spezzano quell’atmosfera “magica” che viene a
crearsi dalla prima all’ultima nota suonata.
In apertura troviamo la lugubre Another Black Day Under The Dead Sun,
preceduta dall’intro psichedelica Pachidermic Ritual che vede la partecipazione
di Convulsion (Midryasi, Doomsword) dietro al microfono. Prima traccia di una
lentezza quasi esasperante, sulla quale aleggia minacciosamente un’atmosfera drammatica
e quasi surreale; a mettersi in risalto è sopratutto la voce calda ed evocativa del singer
Cynar, sorretta in modo
eccellente dal riffing grezzo ed essenziale ad opera delle chitarre. Il lato più
energico ed aggressivo della band viene messo prepotentemente in primo piano già
con l’arrivo di The Raven, contraddistinta sopratutto da partiture
nettamente più heavy-oriented, mentre la successiva C.O.V. (Oblivion) sembra quasi essere uscita
direttamente da una pubblicazione pescata a caso nella discografia dei maestri
Kyuss. Simile ad una
lenta marcia funebre (sopratutto nel finale) è invece Vanitas, introdotta dal
suono di un flauto dal sapore quasi “orientaleggiante”; quindici minuti circa
che racchiudono al loro interno tutte le anime con le quali è capace di
esprimersi la band: ci sono i riff in apertura che tornano a farsi
granitici, la lentezza e l’ossessività delle parti più “calme” e le aperture
psichedeliche di un finale letteralmente da brividi. La chiusura è affidata a
Rotten River,
introdotta dai delicati arpeggi in clean che anticipano un incipit più
coinvolgente, per poi lasciare spazio, nuovamente, ad un finale dal netto sapore
psichedelico dove troviamo la presenza di un moog che fa capolino fra le
distorsioni possenti delle chitarre.
Sebbene non si distacchino più di tanto dalle coordinate classiche del
genere, i Doomraiser sono comunque riusciti a centrare nuovamente il
bersaglio, dimostrando di aver assimilato come si deve le lezioni dei grandi
maestri. Questo secondo capitolo della band è infatti un disco che, senza troppo
brillare di luce propria, risulta essere comunque coinvolgente e convincente,
grazie sopratutto ad un songwriting maturo e decisamente ispirato. Sicuramente
risulterà essere difficile d’assimilare nell’immediato, sopratutto per gli
estranei a questo tipo di sonorità, mentre i seguaci del genere, ancora una
volta, troveranno in Erasing The Remembrance pane per i propri
denti.
Angelo ‘KK’ D’Acunto
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Tracklist:
01 Pachidermic Ritual (Intro)
02 Another Black Day Under The Dead Sun
03 The Raven
04 C.O.V. (Oblivion)
05 Vanitas
06 Head Of the River (Intro)
07 Rotten River (Part I: The River; Part II: On the First Day Of The New Dark Year For The
World 01/01/08)