Recensione: Evergloom

Di Daniele D'Adamo - 29 Settembre 2023 - 0:00
Evergloom
Band: Thorn
Genere: Death 
Anno: 2023
Nazione:
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70

Già si era discusso della sostanziale rarità di one-man band che pratichino il death metal, come i Dead And Dripping, che subito ne emerge un’altra: i Thorn.

Anche se, in questo caso, perlomeno in una song, ‘Xenolith of Slime’, contribuisce un batterista umano.

Comunque sia è il risultato finale, che conta. E, in questo caso, si può dire che esso sia abbondantemente sopra la sufficienza. Brennen Westermeyer, il mastermind, si rivela un appassionato super informato del death metal. Di quello degli esordi, unanimemente chiamato old school death metal. Ma non solo. In “Evergloom”, terzo full-lenght in carriera, il Nostro riesce a progettare una musica totalmente immersiva. Grazie, anche, all’apporto costante delle tastiere e di segmenti ambient (‘Gaze of the Seer’), formanti un oscuro tappeto su quale disegnare le trame del disco che donano al disco stesso un’aurea di terrore sotterraneo.

Underground puro, insomma, nel quale si sviluppano le caverne maleodoranti ove i brani possano correre in libertà, sbattendo in eterno contro le spigolose pareti, per un supplizio che non terminerà mai (‘Wastelands Dimly Lit’). In questo caso assume rilevanza fondamentale il cantato, calibrato su un growling spaventosamente abissale, cattivo, rabbioso, di difficile se non impossibile discernimento. Le linee vocali diventano superfici per divenire a tre dimensioni e, quindi, avvolgere totalmente l’LP a mò di un nero sudario (‘Hypogean Crypt’).

Una capacità di scatenare visioni non comune, quella di Westermeyer, nondimeno grazie a un riffing dal suono putrido, marcio, intriso dal caratteristico odore di carne in decomposizione. Oltre a una parte ritmica da incubo per via di un mood mortifero, è viva e vegeta, si fa per dire, una cospicua sezione solista, terreno in cui saettano ficcanti assoli dall’arcano sapore. Come se fossero eseguiti non da esseri umani bensì da forme di vita extraterrestri che, tornando al discorso suddetto, vivono o forse non vivono nei cunicoli scavati sottoterra dal progetto-Thorn (‘Farron’s Covenant’).

Occorre rimarcare, inoltre, la bravura di Westermeyer nel programmare la drum-machine in modo tale che essa non appaia una semplice macchina ma una vera batteria suonata da abili e attente mani. Sinceramente, almeno per chi scrive, la sensazione che si prova è questa. Difficile, cioè, accorgersi che i vari tempi sciorinati nel platter siano frutto di una sequenza di righe di programma. Presenti pure i blast-beats (‘Wastelands Dimly Lit’) che, però, vengono utilizzati con rarità. E questo in ordine al concetto che la vecchia scuola concepita dal medesimo Westermeyer preferisca l’approfondimento del sound invece che i cinetismi volti a scatenare l’inferno sulla Terra.

Approfondimento che dà vita, come più accennato, a scariche elettriche neuroniche sì da inserire il cervello e di conseguenza la mente in un Mondo dominato da cieli color rosso sangue, nebulosi, come se fossero fissi nell’istante del tramonto del Sole. Sotto di essi, si intravedono pianure e rilievi in cui la terra è nera, arida,secca. Priva di forme di vita che, invece, prediligono gli antri ipogei.

I brani seguono pedissequamente la filosofia artistica di Westermeyer, risultando omogenei, compatti, come se fossero un bollo unico a formare una solida roccia. Forse troppo, poiché davvero arduo riuscire a definirne i segni caratteristici. Tuttavia, si tratta di una scelta del songwriting atta a prediligere la scrittura di “Evergloom” nel suo complesso invece che concentrarsi sui singoli episodi. Il che, di contro, ha come pregio l’invenzione, riuscita, di uno spazio in cui intrappolare pensieri, idee, concetti e, perché no, sogni.

Daniele “dani66” D’Adamo

https://youtu.be/XLm65_LFD3Y

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