Recensione: Fall of Icons
Prepariamoci a un lungo viaggio … oltre il Circolo Polare Artico, immersi nella lunga notte polare appena rischiarata dall’aurora boreale … in compagnia dei finlandesi Ikuinen Kaamos (Eternal Polar Night) e al loro secondo full-length, “Fall of Icons”.
Partiti alla fine degli anni novanta con alcuni demo d’ispirazione puramente black, il quintetto di Joensuu ha raccolto e fatte sue le più disparate contaminazioni, progredendo irresistibilmente verso una forma di metal evoluta e complessa.
La primigenia natura oscura non è stata ripudiata, bensì arricchita da influenze doom, death e prog: quattro generi plasmati da mani ricche di talento e classe cristallina.
Il gruppo si autodefinisce “progressive death metal”, ma questa sterile denominazione che propone una semplice commistione dei due stili è secondo me sin troppo stringata.
Meglio lasciar stare allora i sofismi sulle classificazioni per godere appieno della proposta del gruppo, multiforme come poche.
Il risultato, “Fall of Icons”, esplora in modo unico – davvero arduo trovar impronte di altri progetti – le gelide lande che albergano nell’animo umano, addentrandosi negli anfratti di un’infinita solitudine; a ciò aiutandosi, anche, con il tratteggio essenziale del tetro artwork.
Durante l’ascolto dell’album, il mood triste e malinconico degli Ikuinen Kaamos permea l’etere di una cupa atmosfera, specchio di un monotono e spento paesaggio.
Sintetizzare la natura intimista di questa musica è un’impresa ardua, tanto sono intricate le numerose sensazioni che si provano: ciascuna suite – la durata del lavoro è di quasi un’ora, suddivisa in sei brani strutturati con varie parti – è un microcosmo a sé, governato da leggi diverse che, tuttavia, si riconducono a un’unica filosofia di base elaborata dalle menti che vergano il pentagramma.
Allora, si susseguono attimi di struggente dolcezza e delicata armonia (“In Ruins”), rabbiosa aggressività (“Statues”), opprimente pesantezza e lisergiche apparizioni (“Indoctrination Of The Lost”), ipnotici sogni, transfert visionari ed epiche aperture (“Condemned”); che si addensano in toto per poi sublimare nell’astrazione più pura (“Apart”). In questo rarefatto stato della materia Juhani Mikkonen e Jarno Ruuskanen trovano le idee da trasfondere in musica.
Come si può intuire, siamo di fonte a un platter il cui livello compositivo raggiunge l’apogeo, diventando in tal modo inarrivabile per tanti act che provano a cimentarsi in queste avventure estreme.
Quando si riesce nel difficile compito di scrivere musica sostenuta da una struttura astrusa, sapendola poi comunicare in modo accessibile ai più, si realizza l’opera d’arte perfetta.
Molte volte si scrive di tecnica talmente esagerata da soffocare il songwriting. Qui siamo all’opposto: l’assordante vortice delle idee che così ben confluiscono in una forma comprensibile a tutti, relega in secondo piano l’abilità strumentale dei musicisti che, nemmeno a rilevarlo, non è seconda a nessuna.
Così tanta fantasia, incanalata per comporre brani sempre mutevoli, costringe l’ascoltatore a ripetere almeno una dozzina di passaggi, per aprire le porte della sua mente e catapultarla in “Fall of Icons”.
La durata delle song, peraltro, necessaria per spalmare senza buchi tutte le idee in esse convergenti, parrebbe un’ulteriore difficoltà, che sfuma quando gli occhi dell’Io percepiscono l’Universo degli Ikuinen Kaamos.
Il combo, produttore del disco, vanta come accennato musicisti di prim’ordine. Herranen, responsabile dei testi, alterna con disinvoltura growling sepolcrale a isterico screaming, sovrapponendoli a volte e concedendosi il lusso di proporre segmenti in clean di pregevole fattura (“In Ruins”). La coppia di chitarristi, oltre a scrivere la musica, bilancia il complicato rifferama lambendo vari stili per riunirli e poi diluirli lungo l’arco delle canzoni, contribuendo in modo decisivo al tono melanconico di “Fall of Icons”. Assai accidentato il lavoro di Räisänen, che non esagera mai consentendo al sound dei finnici di essere pienamente assimilabile in ogni sua sfaccettatura.
Non perdetevi nel modo più assoluto questo gioiello, ma armatevi di pazienza: dovranno passare parecchie ore di attento ascolto – da eseguirsi rigorosamente senza soluzione di continuità –, prima di iniziare a gustarne le preziose singolarità.
Ciò è assieme un pregio e un difetto: un pregio, perché implica longevità; un difetto, perché implica difficoltà d’approccio.
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Track-list:
1. Indoctrination Of The Lost 10:55
2. Statues 8:59
3. In Ruins 7:46
4. Condemned 9:48
5. Apart 16:43
Line-up:
Risto Herranen – Vocals
Juhani Mikkonen – Lead & acoustic guitars
Jarno Ruuskanen – Rhythm & acoustic guitars
Lauri Saari – Bass
J-P Räisänen – Drums