Recensione: Fearmonger

Di Alessandro Marrone - 27 Febbraio 2020 - 0:00

Alcuni li davano per spacciati, i più folli pensavano addirittura di doverli relegare al passato, ma i canadesi Beneath The Massacre interrompono un lungo silenzio durato 8 anni e tornano sulle scene con un album che non intende lasciare superstiti. Fearmonger è il frutto di un lavoro concretizzato lungo addirittura 8 mesi tra sessioni di registrazione, mixaggio e post-produzione, ma quello che lo storico trittico composto dai fratelli Bradley (Dennis al basso e Chris alla chitarra) e dall’altrettanto storico singer Elliot Desgagnés trova definitivo sfogo riprendendo il discorso interrotto nel 2012 con Incongruous, stavolta con il nuovo drummer Anthony Barone e con una nuova e ben più sostanziosa etichetta, la Century Media.

 

Appena mezz’ora di totale e devastante attacco frontale, cominciando senza mezzi termini con l’iperbolica Rise Of The Fearmonger, nella quale troviamo i tratti salienti del sound dei BTM, ovvero velocità supersoniche, un drumming forsennato e una chitarra che tesse una ritmica mai scontata e in costante evoluzione. Sopra questo tormentato disegno sonoro la profonda e gutturale voce di Desgagnés. Hidden In Plain Sight accentua l’enorme sforzo della sezione ritmica, ma concede anche spazio a una variazione in termini di bpm, grazie all’azzeccatissimo stacco che separa la prima dalla seconda metà della canzone e che fa ancora capolino in chiusura, lanciando la funambolica Of Gods And Machines, brano nel quale si raggiungono velocità davvero pazzesche, al pari della successiva Treacherous. I Beneath The Massacre insistono sul tema che caratterizza quel sound divenuto un autentico marchio di fabbrica in terra canadese, autentica fornace di band di metal estremamente duro ed altrettanto tecnico. Il fatto è che lo fanno con tutte le carte in regola e con una rinnovata vitalità e ispirazione che dimostra che il letargo forzato – anche a causa di problemi di salute che hanno afflitto alcuni componenti del gruppo negli scorsi anni – non abbia fatto perdere la retta via.

 

Si prosegue senza un attimo di tregua, correndo sui binari dell’alta velocità e con tracce che incorporano tutta la loro malevolenza e prepotenza tecnica nell’arco di 3 minuti al massimo. Questo è uno dei punti chiave che rendono l’ascolto alla portata anche di chi fatica nel riconoscere le prodezze dei BTM come virtuosi dei rispettivi strumenti e offre al contempo un quadro di death metal (tecnico) in grado di appagare anche un ascoltatore meno impegnato. Autonomous Mind aggiunge un feel più sintetico, con un gioco di riverberi che arricchiscono la tessitura presentata dal quartetto sino a questo momento. Si comincia a sentire un pizzico di incertezza – a livello compositivo – con Return To Medusa, ma Bottom Feeders ricalibra il colpo e recupera i punti persi con il brano precedente, mostrando – al pari di Absurd Hero – che ci sono ancora cartucce a disposizione prima di giungere al termine del disco. Flickering Light si appresta a chiudere i giochi nello stesso e furioso modo in cui sono cominciati, ovvero velocizzando ancora le ritmiche e affiancando l’ormai collaudato contrasto tra gli acuti sweep chitarristici di Chris Bradley e la gutturale voce di Desgagnés. Spetta invece a Tarnished Legacy mettere la parola fine all’atteso ritorno discografico del combo canadese che se ve lo state chiedendo, lo fa come ci saremmo aspettati, con tanta violenza.

 

Quasi sicuramente Fearmonger non rappresenta il punto più alto della carriera dei Beneath The Massacre, ma senza dubbio è una tacca fondamentale che non soltanto li riporta sulle scene in un momento in cui c’è bisogno e attenzione verso il ramo più tecnico del death metal, ma anche perché coincide con l’approdo in casa Century Media, un sicuro porto dove poter mettere insieme nuove idee e realizzarle nel migliore dei modi. Ci sono quindi grandi aspettative per l’evoluzione di una band che dalla sua ha un bagaglio tecnico invidiabile, ma che non intende riciclare nulla di già sentito e anzi prosegue attraverso un cammino distruttivo che semina headbanging e una decina di pezzi compressi in un minutaggio estremamente ridotto, ma che al tempo stesso sviluppano e offrono all’ascoltare tutto ciò che il quartetto ha tenuto dentro per otto lunghi anni. Aggiungete pure qualche punto al giudizio finale se già li conoscete. Non ne resterete delusi.

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