Recensione: Forever Black

Di Orso Comellini - 2 Maggio 2020 - 9:01
Forever Black
Band: Cirith Ungol
Etichetta: Metal Blade Records
Genere: Heavy 
Anno: 2020
Nazione:
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85

Long have we slumbered, but now we awake.
We dreamt of your souls, whom now we shall take.
Our legions of chaos have swollen in size.
The long wait is over, to gather our prize.
During our langour, much time has passed
The Kings have returned, to lead you at last.
So rise like the chosen you all have become.
We march forth in battle, together as one.
The stars have aligned, the spheres coincide,
We lead you from darkness, to stand by our side.
Legions arise

Ritrovare dopo 29 lunghissimi anni i Cirith Ungol, è esattamente come riabbracciare un caro amico d’infanzia perso di vista per le più disparate ragioni. Qualche ciuffo eburneo o argenteo ha forse fatto la sua comparsa qua e là, si è messo su famiglia, moglie e figli, si è cambiato giro di amicizie, luoghi frequentati, musica ascoltata; si è dovuto rivedere priorità, abitudini, accettare ritmi diversi, rinunce e ci si è dovuti adeguare a nuove responsabilità. Di converso, nuovi legami si sono intrecciati, nuovi affetti, nuove emozioni, nuove consapevolezze. Eppure le cicatrici e i sorrisi che hanno segnato il nostro corpo e illuminato il nostro volto sono sempre lì ben visibili e definisco quello che è il nostro essere, la nostra essenza. Tutte esperienze spesso condivise e pronte a ravvivarsi di nuova fiamma, dopo una prima, fisiologica fase “di studio” reciproco. E poi quell’istante in cui il tempo si comprime e ci riporta indietro a colori, profumi, suoni che giacevano come carboni accesi sotto la cenere.

Mettere su “Forever Black” per la prima volta produce proprio questo effetto, come dicevamo. L’intro “The Call”, aperto dal corno che i fan della saga di Elric di Melniboné identificheranno in Olifante, rappresenta quella prima fase incerta di studio, quell’annusarsi a vicenda, mentre “Legions Arise” la deflagrazione dopo l’accensione della scintilla, che determina quella sorta di appiattimento del concetto di tempo. Come se passato, presente e futuro convergessero in un unico istante, fondendosi. Certo, avevamo avuto già l’occasione di apprezzare il ritorno dei Cirith Ungol con il mastodontico Live “I’m Alive” dello scorso anno, tuttavia, tornando alla precedente metafora, è stato più come riprendere in mano vecchie foto e filmati, che riabbracciare di persona quell’amico. E finalmente “Forever Black” ci concede questa magnifica occasione, con i suoi splendidi otto brani inediti (più intro).

“Legions Arise” arriva come una testata nucleare. Sfido chiunque ami già il gruppo da anni a non venire pervaso da una poderosa scarica di brividi verticali, dal mellino all’atlante. Il brano è il più veloce del lotto, un vigoroso anthem da cantare a squarciagola dal vivo, che rappresenta una vera e propria chiamata alle armi. Vigorose le sferzate di chitarra e i soli sempre ispirati di Greg Lindstrom e Jim Barraza, su cui si erge, vittoriosa, la terrificante voce di Tim Baker. Bellissima e riconoscibile tra altre mille. Sebbene sia orfano del compianto Jerry Fogle, il gruppo ha trovato i degni eredi spirituali nella coppia di asce appena citata. L’alchimia è ricreata a regola d’arte, grazie anche alla fondamentale presenza in veste di garante di Robert Garven (batteria) e al nuovo innesto Jarvis Leatherby (Night Demon) al basso. A quanto si dice giocando un ruolo decisivo per la reunion. Forse meno estroverso del suo predecessore Michael “Flint” Vujejia, Leatherby riesce comunque a ritagliarsi il meritato posto sotto i riflettori, nonostante la presenza delle due, imponenti chitarre. Merito di una produzione davvero ben curata. Il suo contributo emerge in particolare nei due brani successivi: “The Frost Monstreme” e “The Fire Divine”. Non è un caso, evidentemente, che entrambe citino “Frost And Fire” per il flavour settantiano che le pervade, riportandoci indietro di ben 39 anni. Quell’hard rock spensierato che si tinge del proto-doom di Sabbathiana memoria, in cui a farla da padrona è proprio la sezione ritmica.

L’album però entra nel vivo dalla splendida “Stormbringer” e da qui in poi cambia registro espressivo, elargendo un brano più bello dell’altro. Tempestosa, questo il nome nell’edizione italiana della nera spada senziente che causa a Elric grande turbamento e angoscia. E tutto lo struggimento e i dubbi esistenziali del Campione Eterno, che non può comunque fare a meno di portarla al suo fianco, sono stati magistralmente trasposti in musica dai Cirith Ungol. Straziante qui la prova di Baker, dal cantato pulito sull’arpeggio iniziale alle laceranti urla del ritornello. È il turno poi di “Fractus Promissum”, potente e dotata di un certo magnetismo. Brano di impronta principalmente chitarristica, che porta in chiusura uno dei tanti assoli pregevoli presenti sull’album, non tanto dal punto di vista tecnico, quanto per lo squisito gusto compositivo.

Il trittico finale poi vale anche da solo l’acquisto di questo “Forever Black”. Sontuosi e da brivido gli intrecci di chitarra che aprono “Nightmare”, poi ripresi a metà canzone in occasione dell’assolo; tra i pezzi più duri e oscuri del lotto. Impressionante qui il ritornello, a mani basse uno dei migliori ascoltati nell’ultimo decennio. Chiunque aspiri ad entrare nel Pantheon delle divinità del Vero Metallo farebbe bene a confrontarsi con esso, imprimendoselo bene nella mente. Anche “Before Tomorrow” è uno di quei brani da prendere come modello di come vada suonato l’epic metal nel nuovo millennio, senza scadere in melodie melense e di facile presa. Maestosa, solenne, sognante, riassunta in tre parole. Sontuosa, infine, anche la title-track, con quel finale mozzafiato dove Baker ripete all’ossesso il titolo del brano.

Poter finalmente riabbracciare i Cirith Ungol in questo nuovo millennio e ritrovarli, nonostante la tirannia del tempo, in questo stato di grazia, fa bene allo spirito ed è una gioia per i padiglioni auricolari. “Forever Black” è un album genuino fino al midollo. Una colata di metallo incandescente finemente ispirato.
Ultima nota per la durata del disco, che non raggiunge neanche i 40 minuti. 9 pezzi di cui un intro. Ad ulteriore dimostrazione di quanto sia inutile, se non profondamente dannoso, pubblicare album della durata di 60/70 minuti con 13/15 brani spesso zeppi di filler. Sempre meglio metterne meno, ma curati nei minimi dettagli. Un album senza sbavature o cali di tono dall’inizio alla fine, così com’è questo “Forever Black”!

You never lost hope, you never have strayed.
Arise now my children, arise from the grave.
We lead not the weak, they won’t answer the call.
As chaos descends, false metal will fall!

 

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