Recensione: Fornaldarsagor

Di Matteo Orru - 3 Giugno 2019 - 0:06
Fornaldarsagor
Band: Månegarm
Etichetta:
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2019
Nazione:
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79

Recensire un disco dei Manegarm dopo il mezzo passo falso del precedente omonimo disco, non è facile. Una band dalla carriera ormai ultraventennale che ha attraversato varie fasi senza mai tuttavia rivoluzionarsi o rinnegare il passato.

Senza risultare prolissi Fornaldarsagor doveva essere il disco della ribalta, del ritorno dopo le ultime prove non propriamente esaltanti e così è stato.

Il nuovo lavoro dei Manegarm 3.0 è ciò che serviva alla band per rilanciarsi come non mai nel metallo che conta e non solo, è ciò che serviva ai fan per assistere all’ennesima evoluzione della band che, questa volta, punta tutto sull’esperienza fornendo una prestazione impeccabile e perfetta sotto tutti gli aspetti. 

Non parliamo di una band che ha tagliato i ponti col passato ma che più semplicemente lo ha preso come base sul quale costruire e plasmare questa nuova creatura mistica per avvicinarsi a nuove legioni di fan più avvezzi a meno brutalità ma suoni e composizioni più ragionate e meno acide e sfrontate.

E’ abbastanza ovvio e scontato che il black metal ortodosso dei primi periodi ormai è quasi ridotto all’osso ma sempre presente, seppur con un’attitudine decisamente differente rispetto al passato così come la componente folk che viene utilizzata a ragion veduta senza essere mai essere eccessiva, fungendo da abbellimento e decorazione nei singoli pezzi.

Detto ciò, per chi segue la band sin dalle origini o per chi si approccia al combo svedese soltanto ora, la domanda più comune di sicuro potrebbe essere: “Chi sono i Manegarm oggi?”. Beh, la risposta più semplice, senza girarci eccessivamente attorno, potrebbe essere che sono una band che suona un ottimo heavy metal con gran personalità.

Nel 2019 abbiamo a che fare con una band consapevole di ciò che suona grazie alla maturità stilistica acquisita in tutti questi anni e che continua per la sua strada di innovazione e crescita personale senza mai rinunciare a fare la voce grossa in più episodi.

Ciò che stupisce dei quarantacinque minuti di Fornaldarsagor é come la band sia riuscita a riassumere tutta la loro carriera includendo pezzi fortemente black oriented dove a far da padrone sono i classici stereotipi del genere come blast beat, scream e volocità ultraterrene e altri brani più classicamente viking/folk dai forti connotati etnici, sino ad arrivare a quel più classico epic che sfocia in altrettanti episodi power di matrice tedesca anni novanta. Un insieme di input che, se non fosse per le magistrali capacità della band, rischierebbero di creare una confusione degna di una strada qualsiasi del Cairo all’ora di punta.

Da non dimenticarsi di citare la produzione che in questo caso gioca un ruolo cruciale nonché vero e proprio valore aggiunto grazie alla pulizia dei suoni cristallina e una potenza devastante che dà spessore, dinamica e rilievo a tutte le svariate sfumature degli arrangiamenti posti in essere dalla band minuto dopo minuto.

Nulla è lasciato al caso in Fornaldarsagor, che inizia in maniera devastante con Sveablotet, un pezzo tipicamente black metal dai connotati epici e fieri come a sottolineare che loro ci sono ancora e lo san suonare pure molto bene.

Le harsh vocals della strofa di Erik Grawsio si fondono in maniera elegante con il ritornello epico in clean senza creare sussulti ma rendendo il tutto un corpo unico che vive di vita propria, una guerra tra bene e male senza nessun vincitore.

I lupi svedesi non hanno voglia di far aspettare l’ascoltatore e piazzano in seconda posizione in scaletta Hervors Arv,  uno dei pezzi più belli mai scritti dalla band, una power epic viking song e chi più ne ha più ne metta che delizia i palati con un riff iniziale arioso ed epico che nell’incedere di doppia cassa ricorda palesemente i Running Wild di inizio anni novanta. Da panico il ritornello da cantare con mutandoni di pelle e spade alzate che si unisce egregiamente con la seguente Slaget Vid Bråvalla, altra bordata dalla struttura power senza compromessi, un up tempo che ti investe come un cazzotto in piena fronte ricordandoci pure in questo caso i pirati di Amburgo con la voce di Erik a fare da padrone sfociando, pure in questo caso, in un ritornello melodico ma mai scontato, di gran piglio e potenza.

Il lavoro della sezione ritmica è come un martello pneumatico che non lascia un minimo di tregua cosi come Markus Andè tira fuori dal cilindro una serie di riff killer di novantiana memoria presi direttamente dal manuale delle formule segrete di mago Merlino.

E se Spjutbädden, grazie al suo mid tempo marziale e ragionato con un ritornello che fa la parte da leone, epico, fiero e valoroso rallenta i tempi, spetta a Tvenne Drömmar a farci spingere nuovamente il piede sull’acceleratore sembrando quasi un pezzo uscito da quella pietra miliare di power tedesco che prende il nome di Black Hand Inn anche se nella parte centrale le influenze folk tornano a fare capolino più che mai così come in Krakes Sista Strid; pezzi che sono effettivamente classici come struttura e nulla aggiungono a un genere che ormai ha detto tutto ciò che doveva dire, ma davanti a tale classe nel suonare non si può rimanere indifferenti.

Come a quadratura del cerchio, in maniera quasi furba e ruffiana, Day Star – Son of Dawn chiude il disco nella maniera più devastante possibile, come appunto era iniziato con Sveablotet; un brano lanciato a mille che inizia con un blast di altri tempi e sancendo appunto che si tratta del pezzo più brutale di tutto il platter con tremolo e scream puramente black metal anni novanta senza compromessi.

C’è pure tempo per una cover dei mai dimenticati Motorhead di (Don’t need) Religion rivisitata in chiave Manegarm che nulla aggiunge e nulla toglie a un platter davvero ben riuscito ma che ci regala svariati episodi di spensieratezza facendoci rindossare il chiodo di pelle ormai consumato e stappare l’ennesima birra durante l’ascolto.

Difficile dire se Fornaldarsagor  sia il miglior disco dei Manegarm nella loro ultraventennale carriera ma la cosa certa è che qui nulla è fuori posto, nulla è sbagliato, nulla messo a caso. La durata di quarantacinque minuti aiuta la fruizione dell’ascolto che risulta snella e dinamica con i pezzi ottimamente distribuiti in tutta la tracklist.

Tuttavia, se questi oggi sono i Manegarm, non possiamo chiedere di meglio ma sperare che continuino su questa strada perché ne potremmo vedere delle belle.

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