Recensione: Gates Of Punishment
Mutuando gli Anal Nathrakh, ma solo per la ricetta e per l’utilizzo di una drum-machine, i Rose Funeral cuociono una pietanza (quasi) perfettamente bilanciata fra black e death; costringendo chi vi scrive – per quanto valgano le classificazioni – a tirare la moneta per stabilire il filone entro cui inserire “Gates Of Punishment”, terzo album in carriera.
Le analogie con il duo di Birmingham, però, si fermano qui; poiché il trio di Cincinnati si muove entro coordinate più vicine agli stilemi classici sia di un genere, sia dell’altro. Fondando in particolare la propria musica sui terribili rallentamenti che contraddistinguono il deathcore: i breakdown. Le iper-bariche discese nelle claustrofobiche profondità del suono sono così apprezzate, dai Nostri, da farne una delle caratteristiche peculiari, se non addirittura la principale. Circostanza che, riferita ai segmenti nei quali è evidente il death, non genera grande interesse, ma che, invece, assume valore d’attrattiva quando il black si fa più forte. In più, per aggiungere sale al piatto, non mancano le intrusioni nei difficili campi del brutal e del technical death metal, appesantendo forse un po’ troppo il sound che ne viene fuori.
È azzeccata, per contro, la scelta di non escludere la melodia, pennellando così “Gates Of Punishment” di alcuni momenti più godibili e meno cerebrali. Non solo: Ryan Gardner e compagni amano, e non poco, i toni drammatici, regalando al loro stile una profondità – stavolta emotiva – in grado di smuovere le più nascoste e buie pieghe dell’animo umano. A bilanciare una certa tendenza a disperdere le idee, quindi, c’è questa ricerca di stati d’animo ben precisi, sì da aiutare a focalizzare il marchio di fabbrica dell’opera.
La complessità di tale timbratura è evidente: ci vogliono davvero molti passaggi di “Gates Of Punishment” per assorbirne sia la variabilità artistica, sia la quantità di note. In ciò, il lavoro svolto dal terzetto dell’Ohio sembra essere stato quasi titanico, nel riuscire – e c’è riuscito – a tenere insieme i tanti frammenti variopinti di un rompicapo che, alla fine, porta a raffigurare, quasi incredibilmente, il ‘Rose Funeral-sound’. Prese singolarmente, infatti, le canzoni del platter appaiono slegate le une dalle altre, avulse da un contesto che non pare nemmeno esserci. Raccolte assieme, e qui sta la bravura dei Rose Funeral, esse si amalgamano in un composto coeso, coerente e consistente. La descrizione delle varie song, si spera, dovrebbe rendere più comprensibile questo concetto.
Come da moniker, l’incipit di “Legions Of Ruination” batte le campane a lutto. Poca originalità, sì, tuttavia il funereo effetto è da brivido. Poi, il brano esplode nella sua terribile ferocia contrassegnata dal bestiale growling di Gardner, dalle sfuriate dei blast beats e, soprattutto, dai micidiali capitomboli breakdown. Da ‘manuale del perfetto chitarrista technical death’, e sarà una costante ovunque, il guitarwork di Kevin Snook e dello stesso Gardner. “Grotesque Indulgence” prosegue sulla stessa, identica linea dell’episodio precedente. Un bell’intro al pianoforte apre, invece, allo scellerato black metal di “Beyond The Entombed”, con Gardner abile a lacerare le carni con il suo folle screaming. Il pezzo, violentissimo sia nelle parti super-cinetiche, sia in quelle mega-rallentate, scuote l’etere con il suo mood apocalittico. Ottima composizione! La possente “False Divine” si avvale della collaborazione di Steve Tucker (ex-Morbid Angel), a onor del vero poco incisiva, stilisticamente parlando. “Arise Infernal Existence” è un’altra mazzata sui denti, inferta con la precisione chirurgica tipica del brutal death metal, dipinta con le fosche tinte di una triste e malinconica melodiosità. In “Malignant Amour” c’è la partecipazione della vocalist Kate Alexander, concittadina del trio, che porta una ventata di gothic (sic!) a un menu già opulento.
Dopo lo struggente intermezzo strumentale rappresentato da “A Recreant Canticle”, il CD sforna “The Desolate Form”, pregno di accidenti musicali e arzigogoli chitarristici, esemplificativa dell’irreprensibile tecnica strumentale posseduta dall’ensemble a stelle e strisce (eccellente, anche per orecchiabilità, il breve solo finale di Snook). Un breakdown da stordimento, talmente lento da soffocare, apre “Entercism”, che poi si dipana con un ritmo vivace e con accordi piuttosto accattivanti. “Amidst Gehenna” fende l’atmosfera con i suoi plumbei rallentamenti e le sue devastanti accelerazioni, “Gates Of Punishment” chiude alla fine le danze mischiando, stavolta in un’unica puntata, black e death.
“Gates Of Punishment” è un lavoro denso di musica, abbondante d’idee anche se non particolarmente originali. Ha bisogno di parecchia pazienza e dedizione, per essere apprezzato in toto. Due qualità che non tutti hanno. Se da un lato questo può rappresentare un suo punto debole, dall’altro rende onore ai Rose Funeral per la loro inossidabile dedizione alla causa.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Tracce:
1. Legions Of Ruination 2:18
2. Grotesque Indulgence 3:56
3. Beyond The Entombed 4:05
4. False Divine (con Steve Tucker) 4:40
5. Arise Infernal Existence 4:33
6. Malignant Amour (con Kate Alexander) 4:56
7. A Recreant Canticle 1:40
8. The Desolate Form 4:36
9. Entercism 4:36
10. Amidst Gehenna 3:31
11. Gates Of Punishment 5:02
Durata 43 min.
Formazione:
Ryan Gardner – Voce/Chitarra
Kevin Snook – Chitarra
Julian Kersey – Basso