Recensione: Gates to Heptagon Tower

Di Alessandro Rinaldi - 12 Agosto 2025 - 0:04
Gates to Heptagon Tower
Band: Grimovetust
Etichetta: Dusktone
Genere: Black 
Anno: 2025
Nazione:
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73

Uno degli elementi caratterizzanti il black metal, è quello di avere in sé una grande casistica di particolarità, di eventi o fatti piuttosto originali che sono quasi totalmente ignoti ai musicisti di altri generi, come ad esempio il fenomeno delle one man band. Oppure, come in questo caso, quello dell’anonimato: già, perché in un mondo altamente globalizzato e irreversibilmente social, esibendo la nostra vita 24/7, un atto altamente rivoluzionario è proprio quello di mantenere il segreto della propria identità, ovvero quello che fa Grimovetust, progetto di un polistrumentista di cui si ignorano anche le origin oltre che il nome, come precisato anche dalla Dusktone, “…provenienti da un paese mitteleuropeo non meglio precisato”.

Abbiamo visto qualcosa di simile con i Kanonenfieber, e questo tipo di scelta, esalta, evidentemente la musica rispetto al contesto: non esistono sovrastrutture che possano influenzare in un senso o nell’altro il giudizio su un disco, e questo, di per sé, è molto importante.

Gates To Heptagon Tower si compone di sei canzoni per una durata complessiva di poco inferiore ai 40 minuti, con un artwork molto old school, che rappresenta una costruzione, apparentemente ettagonale, con un forte contrato bianco-nero. Ed effettivamente i contenuti musicali non discostano da quelli visivi: di fatti, i Grimovetust propongono un originale atmospheric black metal, in cui si fondono diversi elementi. La base, appunto, resta quella degli anni ’90, con forti riferimenti a Burzum oltre che Emperor, con delle opportune scelte musicali che ne hanno determinato l’unicità del sound. Nello specifico, ci riferiamo al taglio “cupo” della chitarra acustica, deciso e forte soprattutto nella prima parte del disco, in cui si creano delle piccole intro in ogni passaggio – come avviene in Bond by Frost and Infernal Might e Gardens of Archfiend – supportato da alcuni effetti con le tastiere, oppure come “finale d’impatto”, come accade con Grimovetust . E poi, c’è il sound delle chitarre, che è più pulito, che ha quasi un effetto death, senza però rinunciare alle dissonanze come ad esempio nella title track, in cui si sfiora la dimensione più disturbante, che fa quasi venire la pelle d’oca. Il passaggio successivo, Death Beholder è più old school e si distacca un po’ da tutto quanto proposto fino a questo momento. Chiude Ogres Invocation to the Dark Eden, una lunga outro dall’atmosfera quasi futuristica che ci accompagna verso la fine.

Uno dei grandi punti di forza di Gates to Heptagon Tower, al netto dei gusti, è che il vero protagonista di questo esordio è proprio la musica, in perfetto stile atmospheric: la voce, sapientemente utilizzata come uno strumento, è un ulteriore elemento, ponderato, talvolta con un growl sussurrato, che è funzionale all’obiettivo, ovvero quello di creare atmosfere cupe in grado di solleticare la dimensione introspettiva. E questo, di per sé è un vantaggio. Probabilmente la vena sperimentale di Grimovetust lo porta a cercare e creare nuove soluzioni, avvicinandolo ad una terra di confine, tra l’avantgarde e l’atmospheric, piuttosto che nel black vecchio stampo.

Un esordio ampiamente incoraggiante, che mostra tanti punti di forza ma anche margini di miglioramento.

Ascolto consigliato.

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