Recensione: Gemini

Di Riccardo Angelini - 29 Marzo 2007 - 0:00
Gemini
Band: Lana Lane
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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70

In sincrono col riuscito “Hommage Symphonique” del marito Erik Norlander, anche Lana Lane pesca la carta dell’album di cover. Nel suo caso non si tratta della prima volta, giacché la prima “Covers Collection” firmata Lane risale al 2002. Allora la brillante singer nordameticana decise di puntare prevalentemente su brani di stampo hard rock, puntellando la tracklist con un carico di pietre miliari degli anni ’70 e ’80. Questa volta invece il repertorio retrocede di quasi un decennio, sconfinando fin nel cuore dei ’60. E se il denominatore comune resta il rock, il range di generi toccati varia e si espande assumendo sfumature melodiche, psicheleiche e persino progressive.

Il titolo di questa raccolta, “Gemini”, non è casuale. Da ciascuna delle band omaggiate, infatti, Lana e il marito Erik hanno tratto una coppia di brani: per ognuna due volti, due spiriti, due modi distinti di interpretare un solo tipo di musica.
Illuminata da questa sorta di concept, la tracklist si delinea all’orizzonte intrigante ed eterogenea. Si parte con i Cream del classico “White Room”, che nella rivisitazione di Lana acquista un sapore piacevolmente sinfonico, arrivando a farsi preferire addirittura all’ancora-più-classico “Sunshine of Your Love”, che pure offre alla singer lo spunto per sbizzarrirsi in una serie di vocalizzi entusiasmanti. Tra i momenti migliori dell’album va segnalata anche la bellissima “Starrider” dei Foreigner, che parrebbe essere stata scritta di suo pugno dalla cantante, qui impreziosita da un tocco delicatamente prog rock. Un po’ meno entusiasmante “Long, Long Way Home”, frenata da linee vocali poco incisive nonostante l’ottimo lavoro di Lynch alle chitarre. In particolare il refrain non pare all’altezza dell’originale, incapace di restituirne l’enfasi e l’energia.
Energia ed enfasi che invece predominano su “White Rabbit”, così da irrobustire il crescendo dell’originale Jefferson Airplane fino a trasformarne gli accenti psichedelici in un riffing heavy, quasi marziale. Del tutto diverso il discorso per “Wooden Ships” – meglio nota nella versione di Crosby, Stills, Nash & Young – appiattita in un’interpretazione che perde molta dell’atmosfera dell’originale, anche a causa di un Norlander un po’ troppo esuberante. A proposito di psichedelia, sorprendentemente riuscito il medley pinkfloydiano “Pink Moon Suite”, nutrito cameo di classici pescati direttamente dall’aureo mare di “Dark Side of the Moon”. Non avrei mai pensato che la voce di Lana potesse adattarsi tanto bene alle melodie ipnotiche e dilatate di una “Breathe in the Air” ma, ascoltare per credere, l’esperimento si risolve in un successo su tutta la linea. Occhio peraltro a non perdervi nel calderone l’avvolgente “Johnny Moon” targata Heart. Oltre ad amalgamarsi alla perfezione con i brani di casa Pink Floyd, il pezzo mette in luce la stretta affinità tra lo stile di Lana e quello della band delle sorelle Wilson, non a caso una delle influenze fondamentali della singer statunitense. Provate ad ascoltare la soave “Dream of an Archer”, e sulle prime potreste trovare serie difficoltà a distinguerla dall’originale (anche se Mrs. Lane riesce sempre a distinguersi per qualche virtuosismo in più).
Mancano all’appello solo gli straordinari Moody Blues. La loro presenza potrebbe stupire qualcuno, ma d’altra parte le radici progressive di Lana non sono un mistero, e il doppio tributo agli antesignani del prog rock rappresenta l’occasione ideale per onorarle. Prevedibile e fors’anche obbligata la presenza della reliquia “Nights in White Satin”, storica ballad che Lana interpreta come meglio non potrebbe. Decisamente meno attesa ma del tutto gradita la riproposizione della cullante “You Can Never Go Home” (la candidatura, c’è da scommetterci, è di Norlander), di certo non uno dei pezzi più noti dei Moody Blues, ma adatta come poche allo stile vocale di Lana.

Raffinato e scorrevole, “Gemini” concede un piacevole tuffo nei ricordi ai fan della singer statuinitense, la parte più consistente di pubblico (ma non l’unica) cui l’album è rivolto. Rispetto a quanto fatto su “Hommage Symphonique” da Erik Norlander, il quale ha avuto il merito di spaziare al di là dei brani più inflazionati, Lana ha prefrito puntare in gran parte su classici universalmente noti. In questo senso si è trovata in alcuni a pagare il carisma degli originali, dimostrandosi comunque all’altezza della situazione. Positiva è soprattutto l’abilità nell’amalgamare tra loro pezzi di gruppi anche molto diversi tra loro, come Foreigner e Pink Floyd, in un sound coerente e sempre personale. Ma d’altra parte stiamo parlando di Lana Lane, non dell’ultima arrivata…

Riccardo Angelini

Tracklist:
1. White Room [4:58] (Cream)
2. White Rabbit [2:25] (Jefferson Airplane)
3. Long Long Way From Home [3:30] (Foreigner)
4. You Can Never Go Home [6:02] (The Moody Blues)

“Pink Moon Suite” :
5. Breathe Introduction [1:15] (Pink Floyd)
6. Johnny Moon [3:01] (Heart)
7. Breathe in the Air [1:45] (Pink Floyd)
8. On the Run [2:05] (Pink Floyd)
9. Time [5:21] (Pink Floyd)
10. Breathe Reprise [1:25] (Pink Floyd)

11. Dream of the Archer [4:19] (Heart)
12. Starrider [5:27] (Foreigner)
13. Sunshine Of Your Love [4:55] (Cream)
14. Wooden Ships [4:31] (Jefferson Airplane/CSN&Y)
15. Nights in White Satin [5:19] (The Moody Blues)

Line-up:
Lana Lane – lead and harmony vocals
Erik Norlander – keyboards

with:
Vinny Appice – drums
Tony Franklin – fretless bass
George Lynch – lead and rhythm guitars
Mark McCrite – acoustic and electric guitars, harmony vocals
Kelly Keeling – duet and harmony vocals

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