Recensione: Gnoia

Di Giorgio Vicentini - 9 Settembre 2005 - 0:00
Gnoia
Band: Umbra Nihil
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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76

Mi avvicino con circospezione a questi Umbra Nihil, dopo aver fatto tesoro che non si può prendere sotto gamba un lavoro di Master Warjomaa, mente dei ricercati, sperimentali, eterogenei ma poco conviventi (per me) Aarni. Per mia fortuna e per quella di coloro i quali erano usciti sconfitti o non persuasi dall’incontro/scontro con i succitati, Gnoia è un lavoro completo e stimolante, oltre che più abbordabile.

Sulla falsa riga dell’ispirazione “aarniana”, anche questi finlandesi cercano di comporre doom oltre le banalità del genere, esulando dai paesaggi eccessivamente tetri del funeral o quelli particolarmente cupi di certo death doom, sfruttando con circospezione qualche utile e dosata influenza extra metal più diffusa nel doom classico e meno estremo.
Il risultato è un lavoro variegato, che fa risaltare la sensibilità espressiva dei tre, un passo oltre il riduttivo sviscerare la singola emozione musicandola. Una riuscita alternanza di prospettive che vanno dal gioco tra il tiro e gli assoli lenti di “Shields Down“, alle trame cupe di “The Dreams In The Witch – House“, brano oscuro così come potrebbe suggerire il titolo stesso.

Gli Umbra Nihil non sono una band banale o schematica, fatto facilmente verificabile notando la strutturazione di origine progressive di alcuni brani, apprezzando “Nocturnal Occurrences” dalla partenza acustica rappacificante, atmosferica, notturna e silenziosa. Nove minuti facili da assaporare che pian piano assumono toni elettrici acquisendo colore e vigore sempre controllati. Lo stesso dicasi per la finale “Fade Out“, inizialmente leggera e soffusa fino a sfumare sull’organo, punto più basso d’una ascesa ritmica e di pathos.
Riff come spine dorsali, indovinati e lontani dalla monodimensionalità come per “Words Left Unspoken“, piacevole e trascinante nel suo crescere; costruzioni melodiche, ispirate e ben disposte ad aprirsi a visioni ampie che non si fermano ai semplici estremismi. Resta così lo spazio per altre inclinazioni, chiamando in causa anche i primissimi My Dying Bride in “Fear Of The Void“, angosciosa, cupa, psichedelica e mutevole.

All’interno di un efficace costrutto, si “lascia ascoltare” il growl, adatto alle fasi più tetre, ma meno tagliato per i frangenti extra metal, per via della sua forma grossolana ed eccessivamente rude che lo relega a lunghe pause, indubbiamente volute, durante le quali prevale la strumentazione come in un disco prog rock. Un cantato poliedrico, che ogni tanto fa semplicemente capolino come in “Fear Of The Void“, aprirebbe maggiori spazi espressivi allargando ulteriormente il raggio d’azione, accompagnandosi con l’estro dei lunghi e riusciti stacchi strumentali.

Gnoia è strano quanto la sua copertina ricca di simbolismi, o meglio, non comune, dal sound asciutto che sembra tendere all’old style, studiato nell’espressività musicale che culmina con il dolce infuso di note dello stupendo flauto di “Gnoia“, tocco malinconico in più per una track intelligente e quasi “sensibile” nel suo pronunciarsi misurato. 

Disco consigliato al metallaro medio amante del doom con voce growl, che cerca creazione musicalmente stimolanti ma entro certi paletti.

Tracklist:
01. Words Left Unspoken 
02. Fear Of The Void 
03. Gnoia 
04. Nocturnal Occurrences 
05. Shields Down 
06. The Dreams In The Witch – House 
07. Fade Out

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