Recensione: Happy Days

Di Alessandro Zaccarini - 20 Gennaio 2008 - 0:00
Happy Days
Band: Malnatt
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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86

Avevo sentito storie davvero strane riguardo al futuro dei Malnatt, tra le quali l’abbandono del pagan per un nuovo corso elettronico. Per fortuna con il tempo ho imparato a prendere le dichiarazioni di Porz con pinze e guanti da ostetrica, in quanto ogni idea partorita da quella scatola cerebrale è una piccola insana creatura da crescere e accudire con cura e cognizione di causa, visto che probabilmente figlia di un overdose di soffritto.

Sotto la luce della luna si apre il rituale più puro e antico dell’adunanza notturna e tra i fossi nascono fuochi pronti ad ardere e arrostire al punto giusto le carni del signore indiscusso e assoluto della cucina. L’intro di Pornokrator scoppietta come grasso che cade sulle braci e ci apre le porte del nuovo lavoro dei Malnatt: ‘Happy Days’. Intanto si sale di intensità, e traccia dopo traccia prende forma un disco davvero strutturato in maniera impeccabile, sotto la guardia musicale di quella forma scandinava sempre in bilico tra la sobria intransigenza e il gusto per la melodia che ha dato vita a pezzi storici del pagan come i primi lavori di Moonsorrow e Borknagar. Dall’Inno della Gioventù Malnetta al dialogo introspettivo di Il Mio Cranio, dove la ciclicità musicale rincorre le liriche decadenti di un Porz arreso all’inutilità dell’essere umano, il salto di qualità dei Malnatt rispetto al passato è totale.

Siamo di fronte a un vero carnevale del black metal, dove tutto si rimette in gioco e non esiste più nulla di sacralmente profano, tanto che Adolf Hitler diventa “baffino” e al posto del capro, simbolo millenario del maligno, entra in scena il triviale e volgarissimo (non per propria colpa, ma per volere della trdizione popolare) maiale. Malleus Male Fica Rum (tradotto ovviamente Mallet of Evil Cunt Rum) ritorna musicalmente indietro agli Ulver dei primi anni novanta e in rallentamenti doom in pienissimo stile Primordial, ricordandoci che probabilmente sono proprio i primi dischi della band di Alan “Naihmass Nemtheanga” Averill a essere il paragone più azzeccato per la formazione bolognese.

Una continua desacralizzazione e disincantamento di tutto quello che è il simbolismo e l’iconografia black metal, in un disco che è davvero anche un piccolo pezzetto di sociologia della musica estrema, quantomeno nazionale. Si invertono i ruoli e tutto ciò che è stato intoccabile diventa patrimonio di scherno: nella scena pagan odierna ‘Happy Days’ è quello che fu il processo ai gatti fatto dai tipografi francesi dell’ottocento.

Armatevi di forchetta e raccoglietevi intorno alla figura del nero porcello in una rivoluzione che vede la classe suina imporsi sugli ormai inflazionati ovini, e il grugnito del nuovo feticcio del male rimbombare nella notte. I tempi sono cambiati: un’aristocrazia suina che supera la morte, questo è il nuovo orizzonte.

Tracklist:
1. Pornokrator – Inno della Gioventù Malnetta
2. Eretico Ermetico Ermeneutico
3. Montezuma
4. Al Terz Inper
5. Malleus Male Fica Rum
6. Manfredi 2.2
7. Un Minuto di Assenzio
8. Il Mio Cranio
9. Finale Dipartita

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

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