Recensione: Hard ‘n’ Heavy

Di Motley Skull - 27 Luglio 2007 - 0:00
Hard ‘n’ Heavy
Band: Anvil
Etichetta:
Genere:
Anno: 1981
Nazione:
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84

Quante volte vi è capitato, dopo aver ascoltato un album ed esservelo goduto fino al midollo, di spegnere lo stereo che sarebbe esploso di lì a poco ed esclamare nella vostra testa: “che bomba!” Personalmente, purtroppo, non tante volte quanto avrei sperato, ma tra queste, e lo ricordo strabene, ce n’è stata una in cui il mio cuore pulsante scariche elettriche stava per scoppiare dalla gioia come gli occhi di un bambino davanti a un gelato di due chili. Di chi era la colpa? Di un gioiello di disco targato 1981: il furente Hard‘N’Heavy dei canadesi Anvil.

Un ripasso rapido e indolore prima di occuparci del disco… La genesi della band ebbe inizio nel lontano 1973, a Toronto, Ontario, quando Steve “Lips” Kudlow e Robb Reiner, rispettivamente chitarrista/cantante e batterista, unirono le proprie passioni musicali per dar vita, quattro anni più tardi, a quella band che molti individuano come possibile progenitrice, insieme ai mastodontici Motorhead, del tipico thrash sound. Nel 1981 gli emergenti Anvil, con Dave Allison alla seconda chitarra e Ian Dickson al basso, fecero capolino con uno degli esordi più strepitosi di tutti i tempi: il selvaggio e infuocato Hard‘N Heavy che, più che un titolo, sembra la consacrazione di un genere.

La copertina originaria dell’album, azzeccatissima per le tematiche ipersessuali tanto care alla formazione al tempo battezzatasi con il nome di Lips e raffigurante un paio di labbra carnose su uno sfondo bianco, venne sostituita da una raffigurazione più impetuosa e sulfurea: un’ incudine colpito con estrema forza da un pesante martello stretto nella mano di un fabbro. Una fontana di scintille colora lo sfondo della cover e sul fronte scuro dell’incudine appare a caratteri cubitali il logo della band.

Il disco si apre con il suono tagliente di una campanella scolastica che, rimembrandoci dolci liceali con tanto di gonnellina a scacchi e lecca lecca sulla punta della lingua, fa da intro al primo capolavoro dell’album, la mitica School Love. Botta in testa numero uno e ascoltatore messo in guardia. Il brano condensa in poco più di 3 minuti l’attitudine e la proposta musicale degli Anvil: riff precisi come la mira di un cecchino, drumming intenso e martellante, chitarre assassine e la voce di Lips al limite della peggiore patologia di psicosi.

Intensa ed estremamente ammiccante la successiva AC/DC, dove il cantato di Lips vibra sesso a ogni strofa. La parte centrale del pezzo si dilata sensibilmente: basso e batteria fanno da contorno ai deliri di Kudlow che, ripresosi da una sorta di trance, conduce a termine la canzone supportato da ottimi assolo di chitarra. Traccia numero 3: At The Apartment. Si parte con il drumming ipnotico di Reiner e lentamente subentrano basso e chitarra. Il brano monta, la tensione cresce, la dinamite s’accende e, con un orgasmo d’elettricità, tutto s’infiamma: Uuuhhh-Yeeeaaahhh!!! Lips suona alla grande e la sua voce è bastarda come un contropelo fatto male. L’ottima strofa, il ritornello per nulla scontato, e le geniali parti di chitarra registrate a volumi altissimi fanno di questo pezzo tra i migliori di tutto il disco.

Con I Want You Both (With Me) la parte più “heavy” del disco cede il posto alla cugina più tipicamente “hard”. Non è facile stare fermi ed è quasi impossibile non impugnare una chitarra fatta d’aria e fantasia. Stiamo ascoltando fottutissimo rock and roll di stampo “motorheadiano”, veloce e dannatamente eccitante. Andiamo avanti e scopriamo l’ennesima perla dell’album: Bedroom Game. I ritmi si fanno più accelerati, chitarra e batteria sono sempre più serrate tra loro. Anche le tematiche a sfondo sessuale si intensificano maggiormente. Un riff così compatto da stamparsi immediatamente in mente come la foto di una pin-up nuda sdraiata sul bagnasciuga apre la successiva Ooh Baby. Nulla è cambiato: la band sforna un altro capolavoro di puro e selvaggio hard‘n’heavy dove la frenetica e lasciva voce di Lips è ritagliata con precisione dalle fulminanti parti di chitarra.

La traccia successiva è una cover di Paint It Black, noto brano composto da Jagger e Richards nel lontano 1966. Personalmente, per il solo motivo che il brano, riletto in chiave heavy, risulta fastidiosamente ridondante, avrei optato per non inserirlo all’interno dell’album. Ma passiamo oltre e prepariamoci a boccheggiare davvero: la temperatura si fa eccessivamente alta e vapori di fuoco iniziano a uscirmi dalle narici. Adesso non c’è tempo per rifiatare, è il momento della penultima track, Hot Child, dal riff compresso e penetrante come un trapano su un muro di cartapesta. L’album si chiude con la delirante e divertentissima Bondage, brano carico e intenso, esempio emblematico di quanto Lips e soci dovessero divertirsi come bambini a far gridare allo scandalo le più accanite sostenitrici del movimento femminista.

Hard‘n’Heavy è giunto al termine e il silenzio inghiotte tutto. Le orecchie fischiano lievemente e il ricordo dei dieci pezzi che hanno scoppiettato come i botti a Capodanno è dolce tanto quanto le fantasie perverse dei versi di Lips. Dentro di me frulla una sola frase, la stessa di quando ascoltai il disco per la prima volta. Sarò, ripetitivo, banale, o semplicemente stordito, ma non riesco a pensare ad altro: “che bomba!”

Motley Skull

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