Recensione: Harvester Of Hate

Di Daniele D'Adamo - 21 Ottobre 2011 - 0:00
Harvester Of Hate
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Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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59

Dichiaratamente ispirati alle sonorità di “Burn My Eyes” dei Machine Head, uscito nel 1994, i Northern Discipline nascono due anni dopo in quel di Järvenpää, in Finlandia. Nonostante i tre lustri trascorsi, la carriera discografica dei Nostri conta soltanto un EP (“Northern Discipline”) e due full-length (“Burn-Beaten Soil”, 2006; “Harvester Of Hate”, 2011) di cui l’ultimo, appena uscito, è l’oggetto di questa recensione.  

Il tempo è galantuomo e quindi, almeno in questo caso, una fonte d’ispirazione ben precisa non ha dato seguito a una mera copia dell’originale, soprattutto se si fa mente locale sul piglio duramente thrash di “Unto The Locust”, recente uscita dei californiani. I Northern Discipline, invece, preferiscono accoccolarsi nelle avvolgenti braccia del groove metal, o post-thrash che dir si voglia, evitando accuratamente, almeno in linea generale, di far sforare i propri parametri stilistici dai valori di sicurezza del genere.
Parametri che, di conseguenza, mostrano innanzitutto delle linee vocali aride come il deserto grazie all’ugola davvero scabra di Markus Louhi, degno interprete della schizofrenica scuola di Max Cavalera. Poi, ci sono le tipiche accordature ribassate delle chitarre e quindi i loro ruvidi riffoni semi-lisergici, il basso caldo e pulsante dai morbidi giri, il drumming incessante che – senza badare ai ricami – avvolge il tutto come le spire di un serpente.
Come si può evincere sin da subito, quindi, l’originalità non è certo il punto di forza di “Harvester Of Hate”. Anzi, lo stile musicale, il modo di comporre i singoli brani, l’esecuzione degli stessi, l’insieme complessivo della proposta, appaiono come i piatti di una mensa aziendale: nessuna controindicazione per la salute ma tanta ordinarietà. Il genere stesso, se non incontra il talento artistico di qualche musicista, rischia di essere un’arma a doppio taglio. La sua relativa semplicità strutturale, pensata per avere nella facile presa un punto di forza, conduce invero gente come Ektomorf e Soulfly – cioè fra i migliori della scuderia – a dibattersi fra i marosi di una tipologia sonora troppo spesso scontata e prevedibile per natura.   

A questa critica negativa non sfuggono certo i Northern Discipline, autori dei soliti dieci brani della solita durata di quattro minuti l’uno, elaborati secondo il solito schema della canzone rock, in linea con i soliti temi del caso e con il solito disegno della copertina. A peggiorare le cose, poi, c’è la sensazione che i cinque – nonostante non siano certo dei pivelli – non abbiano ancora trovato il bandolo della matassa per addivenire a un sound personale, identificativo della band e basta. Se una song come “Blessed Are The Wretched” pare non mostri alcuna indecisione nel raffigurare un’idea marcata della direzione intrapresa, cioè indicativa di un metal possente, dissonante e rabbioso; “My Shell” smonta un po’ questa sicurezza lambendo i territori del metalcore, ove la melodia rappresenta una parte fondamentale dell’impianto compositivo. Come se ciò non bastasse, a intorbidire ulteriormente le acque ci pensano il growling e il blast beats di “Reminiscence”, per esempio. Di contro, gli episodi ove l’applicazione della teoria primigenia del groove metal trova piena soddisfazione, come la già menzionata “Blessed Are The Wretched” o la title-track, sono definibili come ‘belli senz’anima’. Un buon compromesso fra i gusti musicali degli scandinavi potrebbe essere “Juggernaut”. Dinamica, potente, dal buon tiro e, anche, dalla giusta dose catchy.

L’ottimo mestiere dei Northern Discipline li salva da un fiasco totale, tuttavia “Harvester Of Hate” non può raggiungere la sufficienza per la sua anima sfuggente e per la sua ridotta freschezza; barcamenandosi così in una sorta di limbo déjà-vu. Elementi, questi, che non riescono ad allontanare il nemico n. 1 di un disco: la noia.
Se non si è proprio dei patiti del genere, si consiglia di passare oltre.  

Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. Blessed Are The Wretched 3:19     
2. Frostbound 4:08     
3. Harvester Of Hate 4:59     
4. Reminiscence 3:31     
5. Juggernaut 4:09     
6. My Shell 4:39     
7. My Final Hour 3:57     
8. One Shot One Kill 4:54     
9. Unbind The Truth 4:04     
10. Zero 3:40             

Durata 41 min.

Formazione:
Markus Louhi – Voce
Teemu Grönber – Chitarra
Toni Laroma – Chitarra
Juha Luomanen – Basso
Antti Salo – Batteria

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