Recensione: Hate Them

Di Alberto Fittarelli - 7 Aprile 2003 - 0:00
Hate Them
Band: Darkthrone
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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80

Puntuali come sempre ritornano i padri spirituali del black grezzo e gelido, i norvegesi Darkthrone: e come sempre ci sarebbe moltissimo, ed allo stesso tempo davvero poco di nuovo, da dire sulla loro release.

Moltissimo perchè questa band è entrata di diritto da anni negli annali del metal estremo, con dischi fondamentali ed a cui i rimasugli della scena nordica si rifanno tutt’oggi con una fedeltà che sfiora a volte il plagio; perchè è uno dei pochi, pochissimi gruppi che danno un vero significato alla parola “attitudine”, tanto che è impossibile giudicare una loro opera senza valutare questo aspetto. Contemporaneamente, però, recensendo 2 o 3 dischi dei nostri di fila si rischia davvero di ripetere le stesse cose: sound quasi identico, tecnica strumentale ridotta all’osso, il cantato di Nocturno Culto inquietante come sempre…
Sappiamo quindi ogni volta cosa aspettarci, eppure ogni volta la curiosità per questi due musicisti diviene morbosa con l’avvicinarsi dell’uscita del disco.

E se un motivo c’è, come ho già detto, va ricercato nella capacità del duo di rivitalizzare la propria creatività ad ogni release utilizzando suoni minimali creati dai 4 strumenti standard del metal: una voce inimitabile, chitarre gracchianti, un basso a fare da contrappunto appena in sottofondo ed il classico drumming di Fenriz, scarno e perfetto per queste songs. Qui addirittura facciamo un passo indietro negli anni, da un sound un po’ più “pulito” come poteva essere quello dei due full-lenght precedenti i Darkthrone sembrano voler rispolverare tutta una serie di clichè da loro stessi resi celebri, collegando il nuovo all’antico senza per questo risultare banali.
E’ il caso dell’intro di Rust, forse il pezzo migliore dell’album, posto in apertura: appena partito il CD nel lettore sembra di tornare alle invocazioni del classico A Blaze in the Northern Sky, ma poi la canzone inizia subito con un riffing di chitarra lento e distorto, e capiamo che la “ruggine” a cui fa riferimento il titolo è l’immagine ideale per rappresentare il feeling evocato dalla canzone.
I testi sembrano abbracciare temi più vari del solito, dall’ironia nera di Fucked up and ready to die e Divided we stand al satanismo neanche tanto implicito delle ultime due tracce in scaletta; ma la cosa importante è che per tutta la durata dell’album non c’è una caduta di tono, un momento di noia, nulla: sicuramente i momenti migliori sono rappresentati, oltre che dalla citata opener, da Det Svartner Nå e da Ytterst I Livet, con un Nocturno Culto di nuovo magistrale, ma sappiamo benissimo che è impossibile trovare una “hit” in un disco del genere, che si assesta su livelli molto alti dall’inizio alla fine. Momenti quasi thrasheggianti, altri più sostenuti e retti da una linea di chitarra “melodica”, di una melodia però malsana…

Non penso quindi di scoprire nulla dicendo che i soldi spesi per l’acquisto del “nuovo Darkthrone” non potranno mai essere buttati via: affermazione fatta con la consapevolezza che i veri capolavori appartengono ormai al passato, certo; ma è impossibile non levarsi il cappello di fronte a due sole persone che ogni volta, in piena controtendenza, ci mostrano la semplicità divenire arte.

Alberto “Hellbound” Fittarelli

 

Tracklist:

1. Rust
2. Det Svartner Nå
3. Fucked Up And Ready To Die
4. Ytterst I Livet
5. Divided We Stand
6. Striving For A Piece Of Lucifer
7. In Honour Of Thy Name

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