Recensione: Heads Have got to Rock n’Roll

Di Vito Ruta - 1 Dicembre 2020 - 0:01
Heads Have got to Rock n’Roll
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La band Magick Touch – composta da Bård “Heavy” Nordvik alla batteria, H.K. Rein alla chitarra e voce, e Christer Ottesen al basso e voce – che nei primi due album “Electrick Sorcery” del 2016 e “Blades, Chains, Whips & Fire” del 2018 si aggirava alla ricerca della direzione musicale da tenere, cambiato produttore e studio di registrazione, risulta aver ormai perfezionato il proprio stile, consacrandolo definitivamente alle sonorità hard n’heavy.
Ecco, allora, il trio norvegese affrontare la terza uscita, intitolata “Heads Have Got To Rock’n’roll”, con rinnovata grinta, pronto ad avventurarsi in territori sinora inesplorati.

Le principali coordinate musicali sulle quali i componenti dei Magick Touch hanno intrapreso il loro viaggio musicale sono rappresentate da Kiss, Rainbow, Dio, Thin Lizzy, e Mötley Crüe.
E proprio un riff adrenalinico, nello stile sunset boulevard losangelino di questi ultimi, letteralmente a metà strada tra “Live Wire” e “Shout to the devil”, introduce il primo brano “(This isn’t) Your First Rodeo”.
Segue a ruota l’interessante “Watchman’s Requiem” che evoca lo spirito di Ronnie James. Con la prua saldamente puntata sull’hard rock classico, i Magick Touch approdano a “To the Limit” che apre con un riff alla Kiss, di quelli che permettevano, nei bei vecchi tempi andati, a Paul Stanley di ancheggiare, dimenarsi e ammiccare tra una plettrata e l’altra. Uno dei pezzi più seducenti dell’album, ideale per l’esecuzione dal vivo.
Love is a Heart Disease” che, invece, è il brano più debole del full lenght, richiama per tema e impostazione lo stile del bassista della “hottest band in the world” e sembra un mediocre outtake anni 90 a firma Gene Simmons.
Con “Ready for the Quake” i Magick Touch cambiano rotta e si dirigono verso un rock blues viscerale e potente, suonato con determinazione.
Bad Decisions” è un brano di dichiarata matrice Thin Lizzy che si contraddistingue per l’armoniosa costruzione.

L’atipico “Phantom Friend” salpando da indolenti sonorità rock blues, questa volta declinate con attitudine psichedelica, si appesantisce via via per raggiungere sonorità doom.
Waiting for the Parasites” chiama in causa ancora una volta un membro dei Kiss e, questa volta, tocca al chitarrista solista Ace Frehley, non solo per il riferimento nel titolo ad un brano (Parasite), scritto ai tempi del secondo album in studio “Hotter than hell”, ma anche per riff, composizione, cantato e assolo.
La ammaliante “Daggers Dance” cede il passo alla conclusiva “Doomsday I’m in Love” che parte con un riff indiscutibilmente Black Sabbath e costituisce una riuscitissima incursione in pieno territorio doom.

Con costanza, esercizio e motivazione, la band sembra aver davvero acquisito quel quid, che, se volete, potete chiamare tocco magico, capace di creare brani dal sapore classico, coinvolgenti e convincenti.
Come si dice dalle mie parti: “Da mo vale”!

 

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