Recensione: Heaven and Hell

Di The Dark Alcatraz - 28 Settembre 2003 - 0:00
Heaven and Hell
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Anno: 1980
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100

Masterpiece, capolavoro. Questo termine viene molte volte accostato in maniera superficiale e affrettata a lavori che hanno fatto la loro comparsa nel vastissimo mondo del Metallo, senza che realmente tutto ciò trovasse riprova nella realtà dei fatti.
Questo però, non lo si può in ogni caso dire, ma soprattutto pensare, di “Heaven And Hell”, disco con il quale si volta decisamente pagina, sia nella discografia dei Black Sabbath, sia nella scena Heavy Metal in generale.
Ci troviamo nei primi anni Ottanta, il mondo del Metallo è investito da quel fenomeno che si identifica con una sigla: NWOBHM ( al secolo: New Wave of British Heavy Metal ), che darà una sferzata prepotente al sound che imperversava negli anni precedenti in Europa, grazie alla nascita di bands come Saxon e Iron Maiden, che furono fra gli introduttori di questa vera e propria corrente di pensiero, se mi concedete il termine.

Contemporaneamente, sempre in Inghilterra, c’era qualcosa che stava bollendo in pentola. Ma partiamo dal principio.
Siamo nel 1979, i Black Sabbath stavano attraversando un periodo piuttosto grigio della loro seppur gloriosa carriera di musicisti quando, decisero che la maniera migliore per uscire da questa crisi, che aveva caratterizzato gli ultimi lavori della band con Ozzy Osbourne alla voce, alla fine degli anni Settanta, sarebbe stata quella di trovare un sostituto degno del “Madman”, che stava lentamente perdendo la stima dei fan, che erano arrivati ormai agli sgoccioli della sopportazione.

Il sostituto fu trovato in un giovane cantante statunitense, Ronnie James Dio, che in precedenza era stato al microfono della band di Ritchie Blackmore, cui non v’è bisogno di dare presentazioni per via del grande successo accumulato come chitarrista dei Deep Purple, ( successo che lo ha portato ad elevarsi a vera e propria icona del Rock mondiale ), i “Rainbow”. Breve ma intensa, fu l’esperienza di RJ. Dio sotto braccio a Blackmore, culminata poi con l’abbandono per via di incomprensioni con quest’ ultimo, che aveva intenzione di iniziare a dare un impronta più commerciale alla band, per accaparrasi i consensi di uno spicchio più grande di pubblico, accantonando anche i concept di sfondo fantasy, tanto cari a Ronnie, per iniziare a scrivere pezzi che trattassero principalmente d’amore.
Quindi il destino dei Black Sabbath e di Dio, era per forza di cose destinato ad incrociarsi, poiché gli interessi che accumunavano entrambe le parti erano molti e il feeling fra Ronnie e Tony Iommi, fu raggiunto già dalle prime uscite in studio.
Dopo qualche mese di prove e registrazioni, venne finalmente rilasciato questo “Heaven And Hell”.

Come avrete sicuramente notato, vi ho introdotto a questo disco parlando della NWOBHM, non ha caso.
I Black Sabbath, sebbene non facciano parte di questa corrente musicale, in questo periodo però, ne rimangono in parte influenzati, sia per una questione squisitamente logistica ( come abbiamo detto, sia NWOBHM che Black Sabbath sono nati in Inghilterra ), sia poiché questo nuovo modo di concepire l’ Heavy Metal possedeva innegabile il suo fascino, arrivando in fine a modificare, seppur in modo marginale, il loro sound.
Questo “Heaven and Hell” infatti, ricalca alcune delle caratteristiche principali della NWOBHM, come ad esempio lo stile tipicamente rockeggiante dei riffs di chitarra di Tony Iommi, che mutano profondamente, divenendo più elaborati e duraturi nel tempo, come alcuni pezzi dell’ album ci mostrano.
Trattandosi questo di un vero e proprio capolavoro assoluto, è necessario, per centrarne appieno la comprensione, considerare ogni traccia come una storia a sé, analizzandola quindi passo passo.

Neon Knights
Il disco fa il suo esordio con questo pezzo, che si apre con un ottimo riff di chitarra di Tony Iommi, che fa da preludio all’ ingresso in scena della voce di Ronnie James Dio che, circa a metà della durata del brano, ne scandisce il titolo con un acuto veramente impressionante.
La ritmica di questo disco è molto azzeccata, i tempi vengono rispettati con millimetrica precisione da tutti i membri della band, il che consente, in alcuni tratti, alla batteria di Bill Ward, di distaccarsi dal ruolo prettamente di backgrounding che essa ricopre, e di far notare in maniera più decisa il suono delle bacchette a contatto con le pelli delle casse.

Ride out, protectors of the realm
Capatin’s at the helm, sail across the sea of lights
Circles and rings, dragons and kings
Weaving a charm and a spell
Blessed by the night, holy and bright
Called by the toll of the bell

Ho voluto riprendere un passaggio dello splendido testo di questa canzone per puntualizzare una cosa. Grazie a ciò ci si rende conto della grande influenza che possa aver avuto avuto il pensiero di Ronnie James nelle scelte di songwriting della band, che per la prima volta introduce storie a sfondo cavalleresco-fantasy nelle sue liriche, ricreando in questo pezzo la vita di alcuni cavalieri che prediligevano la notte come periodo della giornata adatto ad agire, poiché quando le tenebre, grazie al suono di una campana, li richiamano all’ azione, i cavalieri benedetti dall’ oscurità facevano la loro comparsa.

Children of the Sea
Questa bellissima canzone, numero due del platter di “Heaven and Hell”,presenta caretteristiche molto particolari.
Intanto il fatto che inizi e finisca in maniera speculare, ovvero con una dolce melodia di chitarra. Quindi, dopo i primi secondi di ascolto trascorsi in compagnia di un dolce arpeggiare, la canzone acquista velocità e inizia col dimostrarsi veramente un pezzo del migliore repertorio Heavy Metal di sempre. Sebbene la cadenza non arrivi mai a livelli molto alti, è la voce di Ronnie James che fa acquistare a questo pezzo la giusta dose di energia, rendendolo pregno di potenza e elettricità.
Impossibile non spendere due parole per il basso di Geezer Butler: ottimo davvero. Il suo suono è così penetrante, da entrare prepotentemente nel petto, creando quella piacevolissima sensazione di vuoto assoluto, che personalmente adoro.

Lady Evil
E’ ancora una volta il basso di Geezer Butler ad essere protagonista in questo pezzo, sia per via del bellissimo riff introduttivo, che ci guida attraverso tutta la lunghezza di questo incredibile brano, fino al grandissimo ritornello scandito dalla magica voce di Ronnie James Dio e dalla grandiosa chitarra di Iommi, che esegue una performance decisamente sopra le righe anche in questa occasione.

Lady Evil, evil
She’s a magical, mystical woman
Lady Evil, evil in my mind
She’s queen of the night

Anche qui mi permetto di fare una breve citazione dal testo, per riferire di una cosa molto interessante. Ronnie James Dio, uomo da sempre molto interessato al mondo del magico e dell’ esoterico, dedica questo pezzo ad una donna così oscura e misteriosa, che risiede nella sua mente, arrivando a definirla addirittura magica, mistica. E questo suo misticismo intriga a tal punto i suoi pensieri da definirla malvagia. Quell’ alone di mistero che alberga nella sua personalità, la rende subdola agli occhi dell’ artista; al tal punto da definirla, in un passo del testo, tanto devota all’ oscurità ed alle tenebre da odiare la luce a tal punto da non potervisi porre davanti, quasi come se fosse una vampira. Sebbene caratteristiche di misticismo possiamo ritrovarle anche in altri pezzi della precedente discografia Sabbathiana, in questa canzone ci si rende ancora di più conto del grande lavoro svolto da Ronnie James, che riesce in ogni caso ad ideare sfondi prettamente fantasy anche in un pezzo che non avrebbe apparentemente bisogno, rendendolo così più completo, più articolato e quindi, conseguentemente, più piacevole all’ ascolto.

Heaven And Hell
La prima volta che ebbi occasione di ascoltare questa bellissima title track rimasi letteralmente basito, poiché mi resi conto del magico feeling che correva fra due immensi musicisti quali sono Geezer Butler e Tony Iommi, che in un intreccio di arpeggi e riffs, riescono a creare un sottofondo magnifico alla voce di Ronnie James, che si sfoga in tutta la sua potenza senza eguali.
Il pezzo scorre per tutta la sua durata in mid tempo, conducendoci fino allo splendido refrain: perfetto sotto ogni punto di vista.
Anche rischiando di essere ripetitivo, voglio rendere il giusto ancora una volta a colui che ha saputo dominare quel grandissimo strumento che è il basso, riuscendo quasi a disegnare parole nell’ aria, utilizzando semplicemente lo splendido suono che riesce a sprigionare ed ad introdurci nel malinconicissimo finale di questo brano, così cupo da mettere quasi l’angoscia all’ ascoltatore, tanta è l’emozione che può trasmettere.

Wishing Well
Questo “Wishing Well” è, insieme con l’ultima traccia del platter, di cui parleremo più avanti, il pezzo che ha più di tutti subito l’influenza della NWOBHM, e si può notare fin da subito dalla tempistica dei riffs e dalla cadenza generale del pezzo, molto diversa dagli altri pezzi presenti in questo album.
Pezzo veramente geniale, questo “Pozzo dei Desideri” ( tale è la traduzione in italiano ), mette ancora una volta in luce, in maniera che simpaticamente definirei quasi noiosa, le grandissime capacità tecniche della band, perfetta in ogni minimo particolare. Anche questo brano presenta un testo di stampo prettamente fantastico e mistico, veramente molto intrigante, in cui l’autore si autodefinisce un pozzo dei desideri, in grado, grazie alla sua magia, di donare addirittura una stella, o di esaudire un desiderio, unicamente in cambio di un penny. Le tristissime liriche di questo pezzo mettono in evidenza però, come l’amore sincero sia la sola cosa che il penny non può comprare, poiché questo sentimento è in realtà qualcosa che va oltre la temporalità del denaro.

Die Young
Andando avanti ad ascoltare il nostro “Heaven And Hell”, alla posizione numero sei troviamo “Die Young”, il pezzo più debole, a mio modesto avviso dell’ intero lavoro, decisamente inattaccabile. Debole comunque, rispetto al livello di assoluta eccellenza degli altri pezzi che compongono questo straordinario disco, perché i Black Sabbath, scrivendo questo pezzo, ritornano sulla terra ferma per solo 4 minuti e 45 secondi, sebbene il buon Tony Iommi renda questo brano innegabilmente più che discreto grazie a dei riffs ottimamente composti ed eseguiti, uniti alla consueta, straordinaria voce di Ronnie, che conferisce il solito plus a dei pezzi che, altrimenti, potrebbero risultare anonimi. Non sarebbe stato comunque questo il caso, poiché il pezzo è anche strutturato piuttosto bene, con un ritornello più che buono e un incedere straripante, a volte però anche troppo per i miei gusti.

Walk Away
Altro brano “terrestre” è questo “Walk Away”, introdotto in pompa magna dalla grandissima voce di Dio e dal soave arpeggio di Butler, ancora una volta ottimo. Il pezzo, come al solito suonato alla grandissima, presenta purtroppo un refrain veramente molto banale, che ne fa crollare, a mio avviso, l’indice di gradimento. Solo la grandissima interpretazione del singer d’oltreoceano, riescono a rendere questo pezzo, nella sua totalità comunque pregevole e orecchiabile fin dal primo ascolto.
Questa volta però, a correre in aiuto della band, oltre alle grandi capacità del vocalist, come gia detto, c’è una grande performance di Bill Ward dietro le pelli, che si distingue per sicurezza e velocità, scandendo le battute con una cadenza svizzera.

Lonely Is The Word
I Black Sabbath non potevano scegliere pezzo migliore per concludere questo loro straordinario disco.
“Lonely Is The Word”, questo è il nome dell’ ottava traccia del platter, è un lento dalle innumerevoli sfaccettature, malinconico ma energico, veloce ma cadenzato: tutte qualità che conferiscono ad esso qualità di assoluta unicità.
Personalmente, lo ritengo il pezzo più emozionante e corposo dell’ intero album, la ciliegina sulla torta, o il tocco d’artista che rende un quadro qualsiasi un capolavoro inestimabile, soprattutto perché, dai 2 minuti e 40 in poi, questo pezzo si trasforma in un Tony Iommi Show: il meraviglioso chitarrista esegue infatti un riff ininterrotto della durata di oltre 3 minuti, accompagnato solo occasionalmente dalla batteria e dalla voce di Ronnie James, che comunque, a mano a mano che il pezzo si avvicinerà alla fine, andranno scemando d’intensità, lasciando posto solo alle meravigliose note dipinte dal Van Gogh dei chitarristi. Un emozione unica ascoltare questo pezzo, ogni singola nota, ogni accordo di chitarra ( specialmente ) o di basso, ogni colpo di cassa della batteria ( grande merito anche a Bill Ward, che ha saputo sapientemente mettersi in disparte quando è stato necessario evidenziare la maestosità di Tony ), creano in me sensazioni magiche, che non fatico a definire mozzafiato. Uno dei migliori lenti di sempre, nella storia dell’ Heavy Metal.

La maestosità di questo disco, viene ancor più rimarcata dal contesto storico da cui è nato, ed a cui ho accennato prima. I Black Sabbath erano chiamati a riscattare un periodo piuttosto grigio ed a scacciare alcune malelingue, che avevano messo in giro delle dicerie come quella secondo la quale il basso in questo disco non fosse stato suonato da Geezer Butler, bensì da Craig Gruber. Chiacchiera che la band si affrettò subito a smentire sia a parole e sia, soprattutto, con i fatti, proponendo ai fans un Geezer Butler rigenerato in tutto e per tutto.
Commentare questo disco mi sembra oltremodo deleterio, ogni buon metaller sicuramente lo conoscerà anche meglio di me.
Voglio dare un consiglio ai ragazzi che si avvicinano da poco a questo genere di musica e che per la prima volta si trovano innanzi ad un disco di queste dimensioni artistiche: non vi soffermate ad ascoltarlo solo una volta: prima di giudicarlo, dedicategli tempo, “Heaven And Hell”, come tutti i capolavori del mondo dell’ Heavy Metal, è una creatura che bisogna curare col tempo, come una pianticella che deve diventare, col passare degli anni, un rigoglioso albero.

Daniele “The Dark Alcatraz” Cecchini

TRACKLIST
1. Neon Knights
2. Children of the Sea
3. Lady Evil
4. Heaven And Hell
5. Wishing Well
6. Die Young
7. Walk Away
8. Lonely is the Word

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