Recensione: Hiding From The World

Di Edoardo Turati - 9 Dicembre 2020 - 12:04
Hiding From The World
Band: Communic
Etichetta: AFM Records
Genere: Progressive 
Anno: 2020
Nazione:
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78

“Let me hide from this world today
I need to escape for a while
A call to the above led to no reply
Seems like even Hell is closed today”

 

Ci sono domande nella vita a cui si fa davvero fatica a rispondere, quesiti esistenziali alla Paul Gauguin come: “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Cos’hanno i Communic che non va?” Quest’ultima domanda risulta essere davvero ostica perché di non facile inquadramento. Proviamo ad analizzare la situazione andando per gradi, magari ne veniamo fuori e riusciamo a sbrogliare il filo della matassa. I Communic sono musicisti alle prime armi? Assolutamente no, suonano con la stessa formazione da 17 anni e Hiding from the World è la loro sesta uscita in studio. Allora forse suonano un genere poco fruibile o di difficile collocazione? No, la proposta del combo scandinavo è un thrash-prog a cavallo tra Mekong Delta e Nevermore, anche se i richiami a quest’ultimi sono più marcati grazie all’ottima ugola di Oddleif Stensland e alle composizioni che sono sempre complesse e ricche di sfaccettature.

Allora forse è proprio questo il problema, sono i soliti cloni di qualche altra band più talentuosa? In realtà neanche questo è vero, perché nonostante alcuni richiami siano piuttosto evidenti, i Communic hanno comunque raggiunto una propria identità e maturità artistica (in sede live sono fenomenali anche se, a onor del vero, decisamente poco attivi). Come vedete potremmo continuare ad libitum ma senza avere delle risposte chiare. E niente, dobbiamo farcene una ragione: caro Gauguin, non si può venir a capo di tutto. I Communic sono così, piacciono ma non si amano, sono musicisti fantastici ma non riescono a raggiungere il vero “successo” della ribalta. Partendo da questo assunto, ci avviciniamo a Hiding from the World sapendo già cosa troveremo nella scatola misteriosa, ma non ci importa neanche più di tanto se alla fine la qualità del platter rimarrà quella dei lavori prodotti sino a oggi.

L’inizio del disco è molto buono, “Plunder of Thoughts” apre le danze con un ottimo songwriting e un ritmo avvolgente che scorre fluido per tutti gli otto minuti di durata senza stravolgere o comunque sorprendere in negativo l’ascoltatore. Dopo un inizio potente e roccioso è subito la volta del brano che dà il titolo al disco, “Hiding from the World”. Il pezzo inizia un po’ in sordina, infatti ci sembra di trovarci di fronte a una ballad, ma in seguito s’irrobustisce rallentando ancora il ritmo con riff pesanti ed energici, per poi lasciar spazio a un refrain folle che spiazza e quasi destabilizza l’ascolto per la sua melodia e il suo essere quasi totalmente avulso dal contesto. Genio o pazzia? Decidete voi, ma ascoltando questo brano davvero ci sembra di stare sulle montagne russe, tanti sono i cambi emozionali che ci fa vivere. Ancora sballottati ci immergiamo nella seguente “My Temple of Pride” che torna sui canoni classici dei Communic, ossia strofe lente e sincopate con refrain potenti ed oscuri, così come nella seguente “Face in the Crowd”, dove tutto rimane abbastanza ancorato agli stilemi del caso.

Siamo al giro di boa ed è la volta di “Born Without a Heart”, brano più lungo di tutto il disco, che si sviluppa lentamente fino a raggiungere livelli molto alti, sia per intensità musicale, sia a livello di trasporto emotivo, dovuto soprattutto all’ottima prova di Stensland che sembra particolarmente ispirato. Uno dei brani più belli del disco, che musicalmente riesce a coinvolgere per tutte le diverse situazioni empatiche inanellate e i cambi tempo tipici dei Communic, che rendono il brano più vivo che mai.

Con la successiva “Scavengers Await” si torna su livelli meno eccezionali, si tratta infatti di una composizione canonica, ma giunti a questo punto dell’album sembra un prevedibile déjà-vu. Impeccabili come sempre i norvegesi, per carità, ma in questo caso il brano non decolla come altre volte in cui i Communic, invece, si sono lasciati andare osando, senza imbrigliare il proprio estro compositivo.

Ormai siamo allo scadere e ci resta da scoprire come il trio abbiano voluto chiudere Hiding from the World: dopo la breve intro “Soon to Be” ci catapultiamo nella conclusiva “Forgotten”. Questo pezzo lungo dieci minuti ci fa ritrovare i Communic più ispirati e si rivela un brano epico e profondo. La canzone è come coperta da un velo di malinconia oscura e depressiva, ma poi esplode con un’ondata di potere viscerale che travolge completamente l’ascoltatore. La prova di tutta la band è notevole, la musica sorregge e s’immedesima al contempo in modo sinergico con la voce passionale di Stensland, accompagnandola nei saliscendi commoventi di tutto il brano. Una chiusura memorabile, non poteva esserci epilogo migliore.

È arrivato ormai il momento di tirare le somme su tutto quello che abbiamo detto e vissuto durante l’ascolto di Hiding from the World. L’occhio come sempre va in prima battuta sul numero cerchiato in rosso, ma vi assicuro che questa volta il voto può essere assolutamente soggettivo. I Communic hanno dato alle stampe un buon disco come sempre, magari un pelo meno ispirato dei precedenti, ma che presenta picchi eccelsi a livello compositivo. Nella parte centrale risulta, tuttavia, un po’ monotono perché privo della genialità che ha sempre contraddistinto il loro sound, ma quando si lasciano andare i Communic non sono secondi a nessuno anche e soprattutto nel messaggio che vogliono comunicare.

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