Recensione: Hydra

Di Luca Montini - 22 Febbraio 2014 - 15:00
Hydra
Etichetta:
Genere: Gothic 
Anno: 2014
Nazione:
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75

Gli olandesi Within Temptation continuano a mutare, irrefrenabili, nella forma e nello stile.
Battezzata nelle acque del gothic metal, genere che ha contribuito a caratterizzare con pietre miliari come “Enter” (1997) e “Mother Earth” (2000), la band ha successivamente eseguito una brusca virata verso un genere più rock, diretto e ‘commericale’ con “The Unforgiving” (2011). Per non parlare del grande lavoro di riarrangiamento sui brani più radiofonici dell’ultimo anno in “The Q Music Sessions” (2013), attraverso la riproposizione di cover da Bruno Mars agli One Republic, passando per artisti del calibro di David Guetta, Lana Del Rey e Swedish House Mafia. Hydra giunge a noi con questo recente background artistico – e la cosa non è necessariamente un male.

Hydra. L’essenza di questo animale mitologico è la molteplicità. Fu Ercole a ravvedersene, poiché mentre egli cercava di mozzare una delle sue teste, da questa ne rinascevano due, e di nuovo il fenomeno si ripeteva ad ogni tentativo. Così accade a noi, ogni volta che ci accingiamo a cercare un senso, un pensiero o un giudizio su quest’album degli olandesi. Per questo non mi è facile scrivere questa recensione, per questo è tanto aspra la contesa tra i fan, veri “giudici” del mondo musicale.
Inutile quindi cercare appigli di oggettività, di verità assoluta, nel valutare questo lavoro degli Within Temptation: troppe sarebbero le voci contraddittorie, le angolazioni d’indagine, le ombreggiature dipendenti dalle prospettive di osservazione. Del resto, ad ogni giudizio che scende come la scure sulla testa dell’idra, due nuove teste fanno capolino.

Let us Burn” è un brano accomodante che sembra uscito dal precedente full-lenght, ben arrangiato e che mette da subito in mostra l’enorme produzione alle spalle dell’album, col suono da qui in avanti sempre bombastico e denso, curato all’inverosimile. Chitarre possenti come non si sentivano da tempo, solito ritornello catchy ed ottima interpretazione della bella Sharon den Adel.
Il fatto che Hydra poggi su un notevole budget lo si evince anche soltanto dalla singolare campagna promozionale passata attraverso ben tre brani pubblicati su Youtube (Vevo) con tanto di super-video prima della release date dell’album. Video che ad oggi, sommati assieme, hanno già fatto qualcosa come sei milioni di visualizzazioni. Il secondo uscito tra questi è “Dangerous”, feat. Howard Jones (ex Killswitch Engage). Il pezzo è un calderone di doppia cassa, orchestrazioni alla tastiera e riffing più che ballabile. Laddove tuttavia questo melting pot dal palco metalloso alla discoteca in “Sinèad” (dal precedente album) aveva un suo quid, qui sembra un continuo ammiccamento all’immensa vastità di un pubblico potenzialmente sterminato – incrementato dal featuring. Brano divertente come la performance dello skydriver Jokke Sommer nel video: la prima visualizzazione esalta, le successive non riescono a fare altrettanto.
Il pezzo più discusso di Hydra è senza dubbio “And We Run”, feat. Xzbit, celebre (?) rapper statunitense. Ah, ma è quello di Pimp My Ride! Orbene, il pezzo non è male. Per chi, come me, ha apprezzato i primi Linkin Park. Siamo lì. Con una spruzzata decisa di gothic. Paradossalmente la parte più avvincente e stimolante della proposta è proprio la motherfuckin’ strofa rap; difatti il doppio-ritornello maschile e femminile non troppo avvincente si ripete un paio di volte a testa ed in meno di quattro minuti il pezzo è già finito. Coitus interruptus.
Paradise (What About Us?)”, feat. Tarja Turnen (ex Nightwish) è la quintessenza del gothic metal, con due dee discese in terra a dedicarci un brano che è la realizzazione dei sogni notturni di molti: decisamente ritornelloso ma convincente, con il giusto risalto dato alle chitarre come macigni, alle orchestrazioni ed anche un abbozzo di assolo di chitarra. Voci trascendentali. Un picco di qualità per l’album ed un ottimo singolo.
La successiva “Edge of the World” è un brano vellutato e rassicurante, che richiama i primi Within Temptation (chi ha detto “Angels”?). Un po’ a farci riflettere come, al di là della patina esteriore o dello stile predominante nella proposta, la band sia rimasta la stessa nell’anima. In crescendo la successiva “Silver Moonlight”, tra goth e power, con tanto di growl del chitarrista Robert Westerholt (ricordiamolo) compagno di Sharon. Di nuovo sul radiofonico con “Covered by Roses”, piacevole ma non aggiunge nulla. Inutile l’intermezzo con la voce del bambino (recitante un brano del poeta romantico inglese John Keats) che ricorda il penultimo Vision Divine.
Per il celebre “teorema della scimmia instancabile”, una scimmia che pigia a caso su una tastiera all’infinito finirà per produrre, prima o poi, tutte le opere Shakespeare. Penso che un cane spiaggiato sulla suddetta tastiera impiegherebbe molto meno a scrivere il testo “Dog Days”. Un ritornello che si ripete per quasi cinque minuti. “These are the dog days”, insomma, se non si fosse capito. Discorso più pesante per “Tell Me Why”, che riporta la mente ai fasti di “The Heart of Everyting”.
Chiusura con la ballata molto classica “Whole World is Watching” altro video su youtube, feat. Dave Pirner (Soul Asylum). Altro pezzo che se fosse cantato in italiano potrebbe tranquillamente comparire a Sanremo. A volerci proprio riflettere e senza esprimere giudizi, tutte le collaborazioni (Tarja esclusa), sembrano mirate per affrontare il mercato statunitense. Al pubblico l’ardua sentenza…

Ottima l’estetica del prodotto, si potrebbe invece disquisire all’infinito sul contenuto, tra paladini della band e delusi. Del resto l’idra è molteplice e nel generale perde la cura del particolare, affronta molti stili senza approfondirne nessuno… non deve essere facile ragionare, con tutte quelle teste! Hydra è un album che fa della non-linearità un punto di forza ed un punto debole, con una profonda anima gothic che si estrinseca in sperimentazioni prismatiche; offre numerosi spunti e sa d’aria fresca, eppure non è e non vuol essere un capolavoro. Preferisce piacere a tutti piuttosto che deliziare i palati più raffinati. La produzione è superlativa, ma manca un approfondimento analitico, una strofa davvero convincente, un afflato che sia qualcosa in più della ricerca spasmodica del ritornello da hit radiofonica in tutti i brani – elemento da sempre presente nel songwriting della band, qui più accentuato che mai. Tra il desiderio di attraversare i generi musicali degli Within Temptation e la spinta commerciale di Hydra stanno le opinioni contrastanti dei fan: dovunque sia la verità, è sempre un piacere ascoltare la band e la voce di Sharon (ed ospiti), anche a costo di analizzare sonorità non proprio frequenti su queste pagine.,. ed affrontare un possente mostro mitologico!

Luca “Montsteen” Montini

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