Recensione: Hymns for the Drunk

Di Nicola Furlan - 13 Febbraio 2018 - 3:00
Hymns for the Drunk
Band: Tankard
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2018
Nazione:
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50

“Hymns for the Drunk” è la nuova compilation pubblicata dal leggendario gruppo tedesco Tankard. Esce per omaggiare il nuovo corso artistico-produttivo della band avvenuto con la firma del contratto con AFM Records ad inizio anni 2000. E di rinascita sicuramente possiamo parlare se pensiamo a quanto pubblicato dal combo di Frankfurt am Main dal 1994 al 2000: l’ancora passabile “Two-Faced” (1994), l’insipido e spento “The Tankard” (1995), “Disco Destroyer” del 1998 (si salvi chi può!) ed il ‘fermo e patinato’ “Kings of Beer” uscito nel 2000. Ancor più evidente erisulta questo drastico calo qualitativo se ciò che rappresenta la Storia artistica del gruppo può chiamarsi “Zombie Attack” o “The Morning After”.
Senza quindi entrare nei dettagli dei grandi album che vanno appunto dagli esordi di carriera a “Stone Cold Sober” (1992) e considerate le difficoltà epocali del periodo che hanno comunque segato le gambe al 95% delle thrash metal band di metà anni Novanta, è effettivamente vero che AFM Records ha rimesso poi in moto il quartetto.
Nel 2002 esce infatti “B-Day” e con esso nasce quella che potremmo definire la ‘terza era produttiva’ dei Tankard, una sorta di rinascita che ha visto Gerre e compagni di birretta vivere una seconda giovinezza culminata con il tour devastante a supporto del brillante “The Beauty and the Beer” del 2006, la (ri)partecipazione massiccia ai maggiori festival europei e uno standard qualitativo medio più consono al loro background compositivo.
E questi sono un po’ i fatti. Troverei quindi molto più logico che questa compilation affrontasse il periodo ‘moderno’ ovvero che celebrasse il nuovo corso omaggiando, con più coerenza, il periodo della rinascita targato AFM Records.
Arriva invece sul lettore un disco ibrido, inorganico per contenuti e un po’ paraculo. Perché paraculo? Perchè, oggettivamente, i Tankard non hanno mai raggiunto i fasti del passato nei brani composti dall’uscita di “B-Day” ai giorni nostri.
La domanda allora sorge spontanea: non è che, per paura che qualcuno inizi a scoprirli solo oggi, questo qualcuno si faccia un’idea sbagliata ascoltando solo i brani più recenti? Sì, questa compilation la vedo un po’ come una mezza ammissione di ‘sufficienza’. Sono del parere che se voglio celebrare i ‘tempi d’oro della AFM Records‘, piazzo in tracklist solo i brani (migliori) di quell’epoca, fino ad oggi, anche se inferiori ai capolavori del passato.
A parer di chi scrive, già le compilation lasciano il tempo che trovano, ma hanno un senso se contestualizzate. Dalle dichiarazioni della band così avrebbe dovuto essere, ma così non è stato. Ecco allora che compaiono (anche… e forse, solo) brani grandiosi come ‘Slipping from Reality’, ‘(Empty) Tankard’ e ‘The Morning After’ che, nel complesso della compilation e delle motivazioni che hanno spinto a realizzarla, sono come bere una birra in un piatto fondo. Anche perché, a questo punto ci domandiamo, perché mancano in setlist brani come: ‘Chemical Invasion’, ‘Space Beer’, ‘Beermuda’, ‘Blood, Guts & Rock N Roll’?
Per questi motivi, questa compilation non ha un senso o perlomeno, non così assemblata: non rende onore all’investimento di AFM Records, non sa né di IPA, né di ALE e sopratutto è ‘incasinata’ temporalmente. Queste considerazioni esulano dalla qualità dei singoli brani che restano tali, sia se ascoltati singolarmente, sia se ascoltati in successione come su “Hymns for the Drunk”.
“Hymns for the Drunk”
: roba per collezionisti accaniti, in particolare data anche l’edizione a doppio vinile. Per gli altri suggeriamo di attendere il nuovo album

Nicola Furlan

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