Recensione: Ignite the Machine

Di Manuel Gregorin - 2 Gennaio 2021 - 17:19
Ignite the Machine
Band: Stormzone
Etichetta: Metalapolis
Genere: Hard Rock  Heavy 
Anno: 2020
Nazione:
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76

Ignite The Machine” è il nuovo album per i nord irlandesi Stormzone, band attiva già dal 1994 (quando vengono formati dal cantante John “Harv” Harbinson a Belfast), giunta con questo nuovo lavoro al settimo capitolo della loro carriera.
Nonostante non abbiano ancora raggiunto un successo di vasta scala questi Stormzone sono comunque molto attivi sul fronte dei live avendo nel corso degli anni diviso il palco con artisti del calibro di Y&T, LA Guns, George Lynch, Tesla e Winger oltre la partecipazione a festival come Sweden Rock, Lorca Rock, Raismes Fest ed il prestigioso Waken Open Air in Germania.
Inoltre nel 2010 Harbinson è riuscito ad includere nella band il suo amico di vecchia data David Bates, batterista storico degli Sweet Savage, band culto degli anni 80 che ha avuto l’onore di avere il brano “Killing Time” coverizzato nell’album “Garage Inc.” dai Metallica. Gli Sweet Savage Sono stati inoltre la rampa di lancio per il chitarrista Vivian Campbell, divenuto poi famoso per le sue collaborazioni con Dio, Whitesnake ed attualmente in pianta stabile nei Def Leppard.

Il genere proposto è come di consueto un metal in stile anni 80 con marcate sfumature hard rock, caratterizzato da una forte dose di melodia soprattutto nelle parti vocali, come possiamo notare già da “Tolling Of The Bell“, brano di apertura ove solido hard rock viene sapientemente miscelato all’accattivante cantato di Harbinson. Si prosegue con la title track, brano spedito con una struttura decisamente più orientata sul metal senza però trascurare le parti vocali orecchiabili, sublimate da un ritornello che si stampa in testa già dal primo ascolto.
In “My Disease” un riff robusto fa da colonna portante ad un altro brano dalle tinte hard rock; “Each Setting Sun” invece inizia introdotta da note di piano che dopo pochi secondi vengono spazzate via da una chitarra energica in quello che si presenta come uno dei momenti più aggressivi dell’album ancorché mitigato dalle belle melodie vocali. Anche quando decidono di “pestare duro”, gli Stormzone lo fanno sempre senza esagerare, lasciando il dovuto spazio a parti cantate accattivanti e ritornelli di facile presa.
Stesso discorso vale anche per la seguente “Dragon Cartel” introdotta da una chitarra lenta che cede poi il passo ad un riff ritmato e coinvolgente fino ad arrivare ad un bel chorus d’effetto, intervallato verso la metà del pezzo anche da due begli assoli di chitarra e da dei fraseggi dal sapore “maideniano”. “Nothing To Fear” invece si discosta un po’ dall’andamento generale del disco: inizia con un arpeggio dalle atmosfere “dark” che poi si evolve in un brano oscuro e malinconico. Un piccolo cambio di rotta degli Stormzone che però non stona affatto visto che siamo comunque di fronte ad una composizione di buona fattura.

Su “Revolution” invece si torna a sonorità più solari con un riff indovinato che apre la strada al cantato con la solita melodia di facile presa: uno degli episodi più riusciti di questo lavoro. Un altro buon pezzo è “Flame That Never Dies” che inizia come una ballad per circa due minuti per poi prendere la direzione di una energica cavalcata metal carica di pathos. Il disco procede bene per quasi tutta la sua durata, solamente nella seconda parte tende un po’ a perdersi con un paio di brani un po’ sottotono come “New Age Necromancer” o “Dealer’s Reign“, che pur non essendo brutti sono abbastanza ordinari e scorrono via senza particolari emozioni.
Fortunatamente gli Stormzone tornano in carreggiata sul finale con “Under Her Spell“, un mid tempo di qualità con un interessante assolo di chitarra e una buona prestazione di Harbinson al microfono.
Un riff di basso martellante infine, introduce la conclusiva “This Is Heavy Metal” che come anche i sassi avranno capito già dal titolo è un inno al metallo pesante, uno di quelli che per quanto possano apparire un po’ scontati e pacchiani fa sempre piacere ascoltare!
Il pezzo è comunque divertente, con un classico coretto anthemico da cantare a squarciagola; la parte finale del testo poi è costituita da un elenco di titoli di canzoni metal fra le più note con lo scopo di rendere omaggio agli artisti che hanno fatto la storia del genere.

Si conclude così questo “Ignite The Machine“, album di piacevole ascolto realizzato da una band con una buona esperienza ed abilità. Appare chiaro che gli Stormzone puntano tanto sul realizzare brani orecchiabili di facile presa, scelta che però a volte può anche avere un effetto boomerang: infatti a voler proprio trovare un difetto, la continua ricerca della melodia facile ed immediata a tutti i costi, alla lunga può apparire come un atteggiamento un po’ ruffiano tale da fornire un senso di stucchevolezza. Nulla di grave in ogni caso, niente che ne comprometta il risultato finale.

In buona sostanza pur non essendo un disco eclatante e con qualche piccola pecca, “Ignite The Machine” resta un album di buona qualità che scorre via piacevolmente.
Senza dubbio una band da non perdere di vista, che magari sarebbe interessante anche riuscire a vedere dal vivo…

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