Recensione: In Chaos Ascend

Di Daniele D'Adamo - 7 Gennaio 2022 - 0:00

Arriva un nuovo pargolo nello sterminato calderone del death metal. Il suo nome è Necrophagous, e il suo anno di nascita è il 2020.

Nuovo in senso lato, poiché i tre musicisti che lo compongono sono personaggi ben noti nel panorama del metal estremo svedese. Tommy Carlsson (Istapp , ex Entrails, ex Visceral Bleeding), Jocke Svensson (ex Entrails) e Martin Michaelsson (Istapp, ex Entrails), difatti, non hanno bisogno di ulteriori presentazioni data la rilevanza tecnico/artistica del loro pedigree.

“In Chaos Ascend”, l’opera di debutto, appare quindi più un’appendice delle loro rispettive carriere più che un nuovo progetto nel senso stretto del termine. E questo poiché lo stile che muove le fila del full-length appare quasi una specie di riassunto delle esperienze precedenti invece che qualcosa nuovo di zecca. Non che questo sia un delitto, anzi. A volte elaborazioni di questo tipo portano a dar vita alla summa delle rilevanti esperienze del passato.

Il che, tuttavia, non pare essere il caso in ispecie, malgrado l’LP si può dire che possa rappresentare adeguatamente lo stato dell’arte del sound del death del terzo millennio. Pur possedendo più echi che attraversano il tempo da quando tutto ebbe inizio, e più precisamente alcuni richiami all’old school, i Nostri interpretano il death stesso nella maniera più ortodossa possibile in riferimento alla purezza del genere medesimo.

Nessuna contaminazione, quindi, nessuna evoluzione, nessuna progressione: “In Chaos Ascend” può essere tranquillamente visto come una sorta di metro-campione per misurare l’indice di proporzionalità al death puro, come peraltro più su accennato. Death puro che si configura con alcuni dettami ben precisi, che il terzetto di nordeuropeo segue maniacalmente.

Tonnellate su tonnellate di riff, proposti da Carlsson con un flavour secco, tagliente; con una sequenza che rasenta la perfezione in ordine a una linearità che somiglia a quella del thrash. Pure quando scatena la sua ugola abrasa, egli interpreta le proprie linee con un tono stentoreo che fa da base a un growling ordinato, aggressivo quanto basta, che non scivola mai in harsh vocals e compagna cantante.

Stesso discorso per la sezione ritmica. Il basso di Svensson sa di metallo puro, non aggredito dagli agenti atmosferici, cioè. Niente ruggine, quindi, ma un continuo supporto in sottofondo al riffing, vero protagonista di questo album. Com’è da aspettarsi, dato l’esteso background culturale, Michaelsson manipola la batteria con una bravura assoluta, spaziando fra i vari BPM sino a trapassare, spesso e volentieri, la soglia dei blast-beats.

Tutto bene, quindi?

No, giacché “In Chaos Ascend”, nella sua compiutezza stilistica in ordine alla composizione mostra uno stile, appunto, del tutto ordinario. Nel senso che maneggiando le varie canzoni, emerge una piattezza di cui non si può far finta di niente. Carlsson e compagni hanno saputo creare la loro foggia musicale con grande abilità. Su questo non c’è alcun dubbio. Abilità, però, che si sgonfia clamorosamente se si affronta la questione dell’originalità.

Questione che involve ovviamente anche i brani, a pelle privi di anima e cuore. Anch’essi intrappolati in un rigore formale che ne demolisce l’interesse. Davvero troppo simili l’uno all’altro, in una continuità tipologica che sarebbe encomiabile se non fosse noiosa. Sì, noiosa, dato atto che ascoltando più e più volte il lavoro emerge ben poco da mandare a memoria.

Concludendo, si può affermare con ragionevole correttezza che i Necrophagous avrebbero potuto restare nel limbo dei sogni, rilevato che non incidono su nulla di quanto già esistente. Il tedio è un difetto troppo evidente per non essere evidenziato con forza. Il che relega “In Chaos Ascend” nell’universo dei dischi cosiddetti inutili.

Daniele “dani66” D’Adamo

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Band: Necrophagous
Genere: Death 
Anno: 2022
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