Recensione: In God we Trust

Di Abbadon - 2 Novembre 2003 - 0:00
In God we Trust
Band: Stryper
Etichetta:
Genere:
Anno: 1988
Nazione:
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90

Dopo essersi affacciati sul mondo del rock con il mini “The Yellow and Black Attack” (che sarebbe diventato poi un disco vero e proprio) e i due fortunatissimi “Soldiers under Command” (disco da mezzo milione di copie vendute) e “To Hell with the Devil” (disco di platino e probabilmente miglior prodotto di Fox e soci), anche gli Stryper giungono all’anno 1988. Dopo un 1987 privo di uscite l’88 vede la nascita del quarto Full Lenght del combo californiano, ovvero il celeberrimo “In God we Trust”. L’album conferma ancora una volta le straordinarie capacità di una band fin troppo ignorata e sottovalutata, band che comunque fu vera e propria portabandiera di un movimento (l’effimero a dire la verità, White o Christian Metal), nonché gruppo che, indipendentemente dai suoi atteggiamenti (lanci di Bibbie sul pubblico eccetera), era di livello assoluto, punto e basta. Ma torniamo al disco. Come già accennato “In God we Trust” è il quarto full lenght della band capitanata dal vocalist Micheal Sweet, quinto se consideriamo il mini cd di esordio, e segue la linea musicale di “To Hell with the Devil”, proponendo un efficace alternarsi di pezzi quasi heavy ad altri più lenti e docili, ma pur sempre di gran impatto (un “la classe non è acqua” mi sembra termine davvero appropriato in proposito). Il sound è , al solito, di una pulizia strumentale notevolissima, e i passaggi melodici (tanti) sono ben realizzati dai chitarristi del gruppo, ovvero lo stesso M. Sweet e Oz Fox, supportati dalla gran prova del batterista fratello di Michael, ovvero Robert Sweet. Buono anche il basso, suonato come sempre da Tim Gaines, che esegue il suo compito di tenere il ritmo in maniera più che adeguata. Il cantato è come sempre eccezionale ed eseguito senza la minima pecca dal buon Michele, una delle voci pulite più alte, pregevoli ed aihmè ignorate che il panorama musicale degli anni ottanta abbia offerto. Ma passiamo al piatto forte, ovvero le song. Esse sono dieci, tutte piuttosto elaborate ma varie nelle loro offerte musicali. Si parte subito con quello che è certamente uno degli inni degli Stryper, ovvero la splendida “In God we Trust”. La song è una veloce cavalcata aperta subito da un coretto che inneggia un “Noi crediamo in Dio”, coretto che lascia poi spazio a una fantastica lead guitar e ad un buon basso che viaggia spedito lungo i binari della traccia. Subito in evidenza anche il vocalist, che esegue la sua parte magistralmente, anche quando supportato dalle backing vocals, tra le più azzeccate che mi sia mai capitato di ascoltare. Altra cosa da segnalare qui è l’assolo di chitarra, pulitissimo ma non per questo meno diretto o spettacolare, di Oz Fox. Conclusosi quello che come detto è uno degli inni per eccellenza degli Stryper, arriviamo alla più tranquilla, ma altrettanto valida, “Always There for You”. La melodia portante della canzone è molto suadente e sicuramente sa affascinare chi la ascolta, così come lo è il cantato che viene esaltato tantissimo dalla chitarra elettrica durante il dolcissimo refrain. Il mid tempo presenta anche un pregevole assolo, e consiglio a tutti di sentire la versione acustica di questa canzone, che è quasi meglio dell’originale, davvero commovente. Terza traccia e terza hit con l’ottima e ritmatissima “Keep The Fire Burning”, altro mid tempo estremamente ben scandito da un azzeccato e ruvido riff, riff addolcito però dalla voce che vi canta sopra. Buon ritornello, dove entrano in evidenza ancora una volta delle eccellenti backing vocals, che sono decisive anche nella chiusura in fade della canzone. Ed eccoci a quello che, assieme ad “Honestly” può forse essere il brano più dolce e romantico mai composto dai ragazzi vestiti di giallo e nero. L’apertura è affidata a un bellissimo pianoforte, che nota su nota compone una melodia da pelle d’oca, melodia che ci accompagna ad una sublimazione di emozioni davvero unica nel ritornello. Sweet, come tutte le voci pulite che si rispettino, nei pezzi lenti va a mille, e regala sensazioni davvero magiche, così come lo sono quelle date dagli strumenti elettrici quando entrano in gioco, mai troppo aggressivi ma nemmeno messi in secondo piano, un mix davvero davvero eccellente. Ritorno alla brusca realtà più dura e hardrocckeggiante con la potentissima “The Writings on the Wall”, song velocissima e con la miglior chitarra ritmica di tutto il lotto. Le urla della lead guitar accompagnano questa sfuriata strumentale davvero senza freni, e anche gli strumenti diciamo “secondari” in quanto a sonorità ci danno del loro. La voce al contrario di quanto potrebbe sembrare non stona, non eccessivamente, e, anche se in alcuni frangenti fa un fatica, in altri si riprende davvero alla grande. Da segnalare soprattutto il bridge, composto eseguito a regola d’arte, l’assolo, pirotecnico e suonato su scale decisamente non convenzionali, e un assurdo acuto sul finale. Secondo vero lento del disco è l’ottima (anche se non al livello della precedente) “It’s Up 2 U”, basata su un riff molto “aperto”, una come sempre deliziosa melodia di lead guitar e una lirica spettacolare. Parole esaurite sulla prestazione vocale. Seppur abbastanza più piatta e forse anche più scontata di “I Believe in You”, anche it’s up 2 U fa complessivamente la sua buona figura in un disco finora eccezionale, e lascia spazio all’arpeggio che introduce la buonissima “The World of You and I”. Inizialmente molto lenta, The World diventa poi un pezzo che si mantiene sui binari di un andante, contenente comunque i canonici schemi del lento, nella fattispecie tema “amoroso” e tantissima melodia. Sono tuttavia presenti anche degli spezzoni veloci che impreziosiscono decisamente la canzone, e che culminano in un assolo la quale velocità è paragonabile solo alla sua bellezza e pulizia. La prova forse peggiore del disco arriva all’ottava posizione, con la sperimentale “Come to the Everlife”, che intendiamoci non è malissimo, ma tende a tediare piuttosto in fretta l’ascoltare. Il ritmo è inadeguato alla sonorità (non so come spiegarlo bene, ma basta sentire la canzone), l’eccessivo l’utilizzo dei coretti e strumenti elettronici (un synth in questo caso) che potevano essere impiegati meglio sono i difetti essenziali di questa song, da sufficienza veramente risicata. Potranno essere gusti personali, ma proprio non la digerisco appieno. E’ decisamente su un altro livello la successiva “Lonely”, semilenta dal grande carisma e con un enorme refrain, enfatizzato davvero in pompa magna. Molto bello in questa canzone l’effetto che si crea all’ingresso in scena della lead guitar, ovvero dalla seconda strofa in poi, ma in generale questa Lonely, che potrebbe andare alla grande in qualche film melodrammatico, lascia un’ottima impressione, così come la lascia, pur con altri mezzi, l’ultima gemma di questo grande lavoro, la rapidissima “The Reign”, che chiude in quinta marcia un vero e proprio masterpiece di fine anni ottanta. Secondo me questo “In God we Trust”, indipendentemente dall’essere più o meno vicini ai temi trattati dagli Stryper, è da comprare, perché lo reputo il miglior prodotto di hard rock dell’anno 1988, superiore a tanti dischi di band ben più osannate da stampa e critici.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :

  1. In God we Trust
  2. Always there for you
  3. Keep the fire Burning
  4. I Believe in You
  5. The Writings on the wall
  6. It’s Up 2 U
  7. The World of You and I
  8. Come to the Everlife
  9. Lonely
  10. The Reign

 

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