Recensione: Inevitability

Di Daniele D'Adamo - 5 Agosto 2022 - 0:00

Grindcore.

Lembo estremo del metal… estremo, fa della massima furia scardinatrice possibile uno dei suoi segni caratteristici, comprimendo la musica in brani brevi, secchi, violenti. Quasi a voler triturare l’apparato uditivo in nome di una brutale ribellione al cosiddetto normale andamento delle cose. Peraltro nel rispetto di un’assenza totale della melodia, giusto per macellare con ancora più efficacia.

I Morgue Supplier, duo statunitense, non si discostano dai summenzionati dettami se non per un particolare: le canzoni. Contrariamente a quanto dettato dal Verbo, esse sono tutt’altro che brevi, avendo addirittura osato di imbastire una suite da quasi nove minuti (sic!). Un segno caratteristico piuttosto raro da cogliere altrove, poiché anche nelle tracce meno lunghe – ma pur sempre di quattro/cinque minuti – , emerge un coraggioso tentativo di rendere la pietanza meno comune, aggiungendo cioè orrorifici elementi ambient e agghiaccianti segmenti ove la dissonanza strazia le carni.

Per il resto “Inevitability”, terzo full-length in carriera, è un micidiale concentrato di furia belluina, di aggressività totale, di devastante brutalità. Le gigantesche bordate di blast-beast sparate alla massima velocità possibile dalla drum machine forniscono una spinta inumana al sound, valicando valori di BPM raggiungibili solo e soltanto grazie all’uso dell’elettronica (‘My Path to Hell’). Paul Gillis, mastermind della coppia, vomita linee vocali urlate all’inverosimile, buttando fuori dall’urticante gola pure le budella. Non solo, però. Più o meno gli stili canori del metallo oltranzista ci sono tutti, come growling e harsh vocals, resi tuttavia con la massima inumanità possibile.

Malgrado Gillis si debba sobbarcare da solo tutto il lavoro della chitarra, egli dimostra una buona familiarità con lo strumento. Tritando i timpani con fulminanti soli completamente disarmonici. Ma anche restituendo un riffing acre e pungente, che si appoggia molto sugli accordi del basso clamorosamente distorto di Stephen Reichelt.

In mezzo a un integrale sfacelo, emergono come rocce nel deserto due song strumentali (‘Departure (Interlude)’ e ‘Inevitability (Outro)’), messe lì probabilmente per far risaltare ancora di più la spaventosa massa di musica che si concentra altrove. Una concentrazione che avviene con lungimiranza, nel senso che il combo Chicago la diluisce lungo lo svolgersi dei singoli episodi. I quali, come già accennato, presentano dei break meno veementi del resto che, però, grazie alle loro tonalità illimitatamente cacofoniche, paradossalmente sono quelli che incidono più in profondità la membrana timpanica.

Con un songwriting così particolare i Morgue Supplier riescono a materializzare uno stile piuttosto personale, diverso da quello che propone la media del genere. Stile che è ben rappresentato da ‘Thoughts of Only Darkness’, esperimento riuscito di come, se si vuole, si può. Benché siano presenti tutti gli stilemi del grindcore, la suite si srotola con ricchezza di particolari, risultando complessa, tutt’altro che lineare ma assai accidentata nel suo folle incedere; mutando continuamente il ritmo, il cantato, le sferzate di riff acuti, le progressioni del basso. Accelerando, rallentando, accelerando di nuovo e così via.

“Inevitability” è quindi un’opera a suo modo intrigante, che tenta di uscire dai soliti cliché imposti dalla rigidità delle forme del grindcore. Certo, ci vuole uno stomaco di ferro e una grandissima passione, per resistere all’impatto del disco; tuttavia, se si resiste, si riesce a comprendere che i Morgue Supplier hanno voluto fortemente dare alla luce qualcosa di diverso dal solito. E, di questo, bisogna dargliene merito.

Daniele “dani66” D’Adamo

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