Recensione: Inferno

Di Daniele D'Adamo - 11 Gennaio 2024 - 18:35

Gli Arborescence Of Wrath sono una cosiddetta superband composta da cinque musicisti di livello internazionale, fra i quali spiccano Jason Keyser, cantante degli Origin, e Simon Schillin, batterista dei Marduk.

La loro fondazione risale al 2004 ma solo ora, risolta la diatriba per il moniker primigenio, Monument Of Misanthropy, riescono a dare alle stampe il loro debut-album: “Inferno”.

Nomen omen, si dice, che, in questo caso, aderisce perfettamente alla realtà. Il quintetto francese/tedesco/statunitense, difatti, propugna un death metal spaventosamente estremo, violentissimo sino al parossismo, devastante come pochi. Anzi, percorrendo all’indietro la Storia metallica, allo scrivente risultano soltanto pari i mai troppo compianti Myrkskog, compagine svedese che, all’alba del terzo millennio, ha portato il death metal oltre i limiti della concezione umana.

Per gli Arborescence Of Wrath si tratta di identica cosa, o quasi. Vent’anni dopo, qualcuno osa nuovamente varcare le soglie dell’impossibile, stato dell’esistenza ove le normali regole della musica sono stravolte, masticate e sputate a velocità supersonica. E “Inferno”, l’insana creatura, è colui che conduce verso stati di allucinazione totale, in cui lo stordimento da hyper-speed raggiunge soglie in cui scattano visioni apocalittiche di un Universo corroso dalle fiamme. La spinta propulsiva di Schillin è davvero qualcosa che si distanzia, e di parecchio, dai approcci anche più aggressivi al death metal. Le fiondate al fulmicotone dei suoi blast-beats hanno pochi eguali, oggigiorno. La potenza è elevatissima nonostante i BPM raggiungano valori da asfissia. Ovviamente non solo blast-beats ma, praticamente, tutte le varietà di ritmo che delineano e dettami del metallo oltranzista.

In mezzo a questo abominevole attacco uditivo, improvvisamente, spunta un soprano (sic!), che rifinisce l’intro di ‘Holier Than You’. Brano che mette in luce la bravura dei Nostri, capaci di utilizzare i propri strumenti al massimo delle possibilità teoricamente possibili. Ed è qui che emerge Keyser. Tutta la sua esperienza viene messa a frutto per delle linee vocale scellerate, che corrono senza tregua dal growling più profondo alle harsh vocals più secche e sanguinolente.

Il riffing, generato da un lavoro senza alcuna sosta da parte delle chitarre di Michel Beneventi (Levith, In Other Climes, ex-Until the Uspiring) e di JP Battesti (ex-Addicted, ex-Brutal Rebirth), produce un muro di suono abnorme, sovraccaricando di watt uno stile piuttosto riconoscibile in virtù della propria, infinita progressione da centometrista puro. Qua e là saettano assoli taglienti come lame da rasoio, alimentando la ferocia insita nel sound che caratterizza lo sconvolgente ensemble plurinazionale. Il basso di Charles Collette (In Other Climes, Session Benighted, ex-Walking Dead Orchestra) romba in sottofondo come un tuono infinito, sostenendo gli altri strumenti come fosse la fondazione profonda del suddetto wall of sound.

Ad alimentare la reazione nucleare che, a sua volta, sostiene l’incommensurabile fame di energia del citato ensemble, sono deputate nove canzone una più distruttiva dell’altra, con alcuni picchi di orrore proveniente dallo Spazio profondo. Come per esempio ‘Temple of Ashes’, indescrivibile nella sua raccapricciante annichilazione delle membrane timpaniche, seppure inframmezzata da brevi inserti ambient per spezzare l’andatura. Tant’è che la cover degli Immolation, ‘Into Everlasting Fire’, viene fatta a pezzi e rimessa assieme in forma di sconquasso inaudito. Peraltro, sempre a proposito di song, alcune di esse presentano una lunghezza oltre la solita media dei tre minuti e mezzo/quattro. Sintomo sia di talento superiore, sia di retroterra culturale estremamente ampio nel saper gestire le forze durante un percorso infuocato, come bombardato dal napalm, dall’impeto rabbioso e dalla mortale irruenza (‘Repentance’).

“Inferno” è senza ombra di dubbio l’inferno sulla Terra. Tutto ciò che identifica il death metal viene proposto al massimo di ciò che possa sopportare un essere umano in termini di tortura sonora. L’effetto lisergico è un obiettivo raggiunto, «E il naufragar m’è dolce in questo mare».

Da paura!

Daniele “dani66” D’Adamo

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Genere: Death 
Anno: 2023
80