Recensione: Kingdom of Decay

Di Daniele D'Adamo - 11 Settembre 2020 - 0:01
Kingdom of Decay
Band: Darkened
Genere: Death 
Anno: 2020
Nazione:
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77

I Darkened nascono nell’estate del 2019 dall’unione di cinque esperti musicisti del panorama del metal estremo internazionale: Andy Whale (batteria; ex-Bolt Thrower, Memoriam), Daryl Kahan (basso; ex-Disma, Funebrarum), Gord Olson (voce; Ye Goat-Herd Gods, Demisery), Linus Nirbrant (chitarra; A Canorous Quintet, This Ending) ed Hempa Brynolfsson (chitarra; Excruciate, Ordo Inferus).

Subito dopo, il primo EP (“Into the Blackness”) e, quindi, quest’anno, il debut-album, “Kingdom of Decay”, che segna l’arrivo in formazione di Tobias Cristiansson (Grave, ex-Dismember) al posto di Daryl Kahan.

Questi tipi di band mostrano, come si è appena visto, un pedigree impressionante, tale da rendere quasi ovvia, per analogia, la produzione di musica di alto livello qualitativo. Salvo poi naufragare miseramente – in parecchi casi – alla prova del nove, quali entità scoordinate nonché prive della necessaria coesione per assurgere allo status di gruppo, in cui tutti i membri remano nella medesima direzione.

Nel caso dei Darkened tutto ciò non accade, anzi, la sensazione prevalente è quella di un insieme di persone che, benché distanti fra loro, parlino la stessa lingua. Un act fatto e finito a tutti gli effetti, quindi, che non ha nulla a che invidiare a niente e a nessuno.

Il sound è possente, determinato, carnoso, che richiama un death metal ortodosso ricco di elementi tali da arricchire uno stile altrimenti troppo allineato alla media. L’impatto frontale è assolutamente rilevante, una vera mazzata sulla schiena (‘Kingdom of Decay’). Grazie anzitutto al drumming devastante di Andy Whale, potente e veloce, in grado di delineare le membrature di base di una struttura sonora ben riuscita nella forma e nella robustezza. Le chitarre producono un incessante riffing a mò di motosega, abbellito da parti soliste azzeccate nel loro inserimento, corretto nei modi e nei tempi, che addirittura sfiorano la melodia (‘Dead Body Divination’). Eccellente anche la voce di Gord Olson, assai bravo ad accompagnare la musica con le sue linee vocali in growling. Stentoreo ma non esagerato, nel senso che se ne colgono i vari passaggi a cavallo dei testi. Tobias Cristiansson tiene assieme il tutto con il suo basso cupo e profondo, senza scivolare nell’autocompiacimento.

Eccola, quindi, la carta vincente dei Darkened: contenere entro limiti della normalità – in ogni caso altamente professionale – la tecnica esecutiva, concentrandosi sullo stile e sulle canzoni.

Dello stile s’è detto. Per quanto riguarda le tracce, anche in questo caso si è scelto un songwriting lineare, perciò molto consistente nel dare vita a singoli episodi concepiti per rimanere impressi nella memoria per la loro facile assimilazione e non per astruse composizioni intelligibili ai più. Tanto per mostrare un esempio, ‘Pandemonium’ si scatena nei gironi infernali con una gran dose di aggressività, spinta anche da qualche accordo di tastiera, tuttavia rimanendo entro i limiti di quelle che sono le coordinate stilistiche del death metal classico. Classico ma moderno. Quasi fosse da prendere a esempio quale specie di death metal puro da mettere nella formaldeide per fissarlo nel 2020. Non mancano nemmeno micidiali mid-tempo come ‘Cage of Flesh’, che addirittura rallentano sino a lambire la lentezza del doom; circostanze in cui emerge con maggiore forza il mood del disco: tetro, oscuro… mortale. Immancabile il richiamo ai Grandi Antichi di lovecraftiana memoria (‘The Old Ones’), quasi a voler suggellare l’appartenenza a un genere che si è nutrito e si continua a nutrire, per saziarsi, delle orrende creature cosmiche provenienti dagli eoni più lontani nello spazio e nel tempo.

Quindi, in estrema sintesi, si può affermare che Darkened abbiano centrato due obiettivi: essere una formazione per davvero e non solo sulla carta; aver realizzato un LP, “Kingdom of Decay”, completo in tutto e per tutto per essere considerato un’ottima opera di death metal. Quello vero.

Bene così!

Daniele “dani66” D’Adamo

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