Recensione: Lapse of Reality

Di Filippo Benedetto - 22 Dicembre 2004 - 0:00
Lapse of Reality

Tornano i Ring of Fire progetto che vede la presenza di nomi di un certo valore quali: Tony McAlpine, Virgil Donati, Mark Boals.  Tornano con un nuovo platter intitolato “Lapse of reality” includente ben 12 traccie che spaziano da dall’heavy melodico al prog metal, dall’hard rock a qualche intuizione dal sapore AOR. Innanzitutto parto dall’impressione generale che ho tratto dall’ascolto di quest’ultimo disco. Tolta l’ottima prova dei musicisti coinvolti in questo lavoro, quello che colpisce è la grande varietà di stili che compongono il puzzle dell’album, che risulta davvero un ricco calderone di influenze e stili musicali immortalati in traccie una più diversa dell’altra.

L’apertura del disco è affidata proprio alla title track, “Lapse of reality”, brano introdotto da un un lavoro per piano leggero a cui sembra far da contrasto un riffing pesante e cupo. Molto sontuoso è il refrain principale, dove il vocalist Boals sfoggia in grande stile tutta la sua timbrica vocale. Molto ben impostate, inoltre, le fondamenta ritmiche che sostengono la struttura melodica del pezzo che, cadenzate e possenti, giocano il funzionale ruolo di compattamento del sound complessivo del brano. Passando alla seconda track, “Saint fire”, si cambia decisamente atmosfera passando ad un hard’n’heavy di più diretto impatto melodico, specialmente all’irrompere in coda al secondo chrorus dell’assolo di buona impostazione armonica. Con “Change” la band  stuzzica le orecchie dell’ascoltatore con frizzanti melodie che sembrano in alcuni frangenti strizzare l’occhio al più classico melodic hard rock, in special modo nel refrain che accattivante sotto il punto di vista delle vocals e tecnico strumentale (anche in questo caso l’assolo dosa in egual misura melodia e virtuosismo). Di nuovo si cambia contesto con la successiva  “That kind of man”, brano dai tratti quasi “dream theateriani” (mi si passi il termine) per la sua struttura decisamente prog-metal. Le ritmiche più complesse, le trame melodiche che alternano partiture di più difficile assimilazione a risolutive aperture melodiche sono l’essenza di questo brano dove la band nel suo complesso dà eclatante dimostrazione di tutta la sua preparazione tecnico strumentale. Di tutt’altra sostanza è fatta la quinta song del platter, “You were there”. Qui il gruppo si concede il lusso di cullare l’ascoltatore con una romantica ballad dove un tappeto pianistico accompagna un riffing sontuoso e pieno di pathos melodico. Di sicuro in questa traccia la band dimostra buona classe e gusto per gli arrangiamenti, mostrando efficacemente il lato più intimistico della propria proposta musicale. Un accenno di sitar fa da intro alla seguente “Perfect World”, dove la band sfodera un certo gusto per armonie classicheggianti condite con frequenti suggestioni epicheggianti. Curioso risulta essere l’esperimento della seguente “Machine”, brano che sembra partire dalla stesura di temi prog metal per dilatare il discorso a estreme conclusioni quasi “industrial”. Il pianoforte torna a svolgere un ruolo importante nella ottava “The Key”, dove la band calvaca melodie quasi power dove il riffing prima si fa incalzante e deciso per poi concentrare l’attenzione dell’ascoltatore su passaggi di più cupo spessore. Passando alla seguente track, “Don’t Know”, l’ascoltatore viene nuovamente travolto da un susseguirsi serrato da partiture di più facile impatto ad altre notevolmente più intricate e ricche di cambi di tempo (Donati sembra giocare di contrappasso con estrema fluidità). Sembrerebbe esaltante descritto così questo brano, invece la sua nota dolente sembra essere l’eccessivo “affollamento” di note in poche battute a rendere a tratti difficilmente digeribile il brano, pur nel suo indubbio fascino puramente tecnico strumentale. Con la successiva “One little mystery” la band torna a rispolverare più sicure trame melodiche, merito di un riffing efficace e di diretto impatto specie nel bel refrain dl chiaro sapore hard’n’heavy. Di sicuro insieme alla precedenti “Change”, con questa song il combo con questa traccia mostra le sue carte migliori. Proseguendo verso la conclusione dell’album, la penultima “Darkfall” dimostra ulteriormente la caratura tecnico strumentale della band, che in questa song si lancia nella costruzione di trame melodiche ricche di maestosa teatralità. Interessante il susseguirsi di assoli per tastiera e chitarra che si rincorrono nella parte centrale del brano. In chiusura d’album troviamo la complessa struttura armonica di “Faithfully” che non manca di esaltare le doti di tutti i musicisti, in special modo del nuovo tastierista.

Concludendo questo nuovo lavoro dei Ring of Fire è un album con almeno quattro momenti molto interessanti (Change, Perfect World, One little Mystery e la title track) ed altri che, pur risaltanti in maniera evidente le grandi doti di tutti gli strumentisti, risultano di difficile digeribilità. In sostanza “Lapse of reality” è un discreto album che magari con un lavoro  più coerente nell’amalgama dei brani avrebbe potuto ottenere migliori parametri di giudizio (… almeno di quello qui presente).

Tracklist:

Tracklist:

1.Lapse of Reality
2.Saint Fire
3.Change
4.That Kind Of Man
5.You Were There
6.Perfect World
7.Machine
8.The Key
9.Don’t Know (What You’re Talking About)
10.One Little Mystery
11.Darkfall
12.Faithfully
13.Lapse of Reality (long version, european bonus track)

Line Up:

Mark Boals – vocals
Steve Weigrant – rhythm guitar, keyboards
Tony Mc Alpine – guitar
Phil Bynoe – bass
Virgil Donati – drums