Recensione: Let Them Burn

Di Francesco Sgrò - 18 Marzo 2013 - 13:00
Let Them Burn
Etichetta: Sliptrick Records
Genere: Thrash 
Anno: 2013
Nazione:
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79

Un’autentica colata d’incandescente metallo questo “Let Them Burn“, terza fatica in studio degli svedesi Denied, pronti a sprigionare tutta la potenza dell’Heavy Metal più classico e melodico in poco meno di quaranta minuti di musica.
Non avrebbe potuto essere diversamente del resto. Nel gruppo, infatti, sono coinvolti musicisti del calibro di Fredrik Isaksson (basso, Therion) e Chris Wovden (chitarra, Opeth). A completare la Line Up ecco poi il batterista Pete Dolls, il cantante Johan Fahlberg (Insania, Scudiero e Jaded Heart) ed infine il chitarrista Andreas Carlsson.

A ben cinque anni di distanza dall’ultima fatica (intitolata “New Army For The Old Revolution“), i nostri si ripresentano sul mercato con un album  davvero notevole.
Fin dalle prime battute dell’opera, i Denied si preparano a devastare le orecchie dell’ascoltatore con una manciata di brani semplici, perfettamente strutturati e soprattutto, in grado di catturare immediatamente l’attenzione di chi ascolta, permettendo così all’opera di scorrere agevolmente fino alla fine.

Arricchito infine da un’ottima produzione, “Let Them Burn“  inizia con la splendida “Judas Kiss“, breve ma feroce assalto Heavy contraddistinto da una serie di riff granitici, spezzati da un coro melodico ed orecchiabile.
Sulla medesima scia segue la potente “Dead Messiah“, che può contare su una componente melodica ancora più pronunciata, ben evidenziata nell’ottimo refrain che arriva come una manna dal cielo, pronto a spezzare brevemente la furia sprigionata dai crudi riff allestiti dalle due chitarre.
Nel breve volgere di qualche istante, i toni si addolciscono ulteriormente e la melodia diventa l’assoluta protagonista della splendida “Garden Of Stone“, sublime ballad malinconica e ricca di pathos, perfettamente interpretata dal bravo singer.
Ecco poi la devastante “Constant Rage“, ipnotica ed oscura nel suo sviluppo, caratterizzata da una serie di assolo lancinanti e di ottima fattura.
Con la massiccia “Until The End Of Time“, l’album sembra tingersi di cupe atmosfere orientaleggianti, per un brano epico ed in grado di travolgere l’ascoltatore in un turbine di potenza e melodia.

Ottima anche la cadenzata e maligna “Lesser Son“, dominata come sempre da un ottimo lavoro chitarristico che sembra portare il disco degli svedesi su sentieri più tipicamente Thrash.
La colata lavica avviata dalle precedenti canzoni, non accenna ad arrestarsi e anche la furiosa “Seven Times Your Sin“ risulta essere un altro episodio violento ma elegante, in cui la melodia è sempre comunque in primo piano.
Le successive “Nothing Is Sacred“, “The Black Room“ e soprattutto la malvagia “In Hell“, concludono egregiamente un album che non ha cali di tensione e che rappresenta un’inarrestabile discesa agli inferi…

Ottimo lavoro!

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