Recensione: Liberate the Unborn Inhumanity

Di Daniele D'Adamo - 1 Luglio 2022 - 0:00
Liberate the Unborn Inhumanity
Etichetta: AFM Records
Genere: Death 
Anno: 2022
Nazione:
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80

“Liberate the Unborn Inhumanity”, ed è rivoluzione totale in casa Mors Principium Est.

L’ultimogenito segna il passaggio da una formazione a due che, in occasione di “Seven” (2020), comprendeva Ville Viljanen alla voce e il compositore britannico Andy Gillion alla chitarra, basso e programmazione, a un quintetto formato dagli ex-chitarristi nonché co-fondatori del gruppo, Jarkko Kokko e Jori Haukio. Coadiuvati dal rientro alla base del bassista Teemu Heinola e dal nuovo batterista Marko Tommila. A tirare le fila, come sempre, l’imperituro Viljanen. Una band vera e propria, insomma, composta da veri campioni del proprio strumento. Voce compresa.

Detto questo, appare chiaro sin da subito che una nuova linfa abbia rigenerato un act che, piano piano, stava morendo intrappolato in cliché triti e ritriti, nonché in una preoccupante siccità tecnico/artistica. Oltre a rappresentare un drastico cambio di marcia, “Liberate the Unborn Inhumanity” si può ben dire che sia permeato dal beatificante profumo della rinascita, benché sia solo una raccolta di song riregistrate nuove di zecca.

Una rinascita che tocca tutte le varie parti che compongono il combo scandinavo. A partire proprio da Viljanen, che pare abbia rinnovato l’ugola con un’altra nuova di zecca. Un ritrovato entusiasmo che fa da traino al resto dell’ensemble. Linee vocali assai varie, interpretate con un growling robusto, stentoreo, ma soprattutto fuso perfettamente alle splendide melodie che riempiono sino all’orlo il disco. Senza disdegnare qualche pennellata di harsh vocals (‘Valley of Sacrifice, Part 2’), sì da fare venire in mente il black metal. Ma solo come sfumata sensazione a pelle.

“Liberate the Unborn Inhumanity”, con i suoi cinquantasei minuti di durata, offre quanto di meglio ci sia in giro nell’ambito del melodic death metal. Soprattutto in ordine a una ritrovata vena musicale, capace di rigenerare canzoni variegate fra loro, orecchiabili abbastanza ma non esageratamente per obbedire ai dettami primigeni del genere che, in fondo, sono quelli del death. Il robusto inserimento delle orchestrazioni, poi, dona al sound dimensioni ciclopiche (‘Valley of Sacrifice, Part 1’).

Un vero muro di suono che si abbatte sul muso (‘Two Steps Away’), arricchito dai formidabili ricami solistici delle sei corde. Kokko e Haukio, non a caso, identificano una delle migliori coppie in assoluto nel campo del metal estremo. Pesanti tritacarne se si tratta di realizzare una massiccia ragnatela di riff, delicati orafi se occorre disegnare le armonizzazioni (‘Eternity’s Child’). Tecnicamente ai massimi livelli di abilità esecutiva, i due guitar hero dimostrano di essere ugualmente ottimi scrittori di partiture di chitarra assai complesse, cangianti e molto, molto fresche (‘The Lust Called Knowledge’).

Anche Heinola e Tommila partecipano attivamente nel contribuire a creare un suono poderoso, scoppiettante, disparato nel conto dei BPM, che non ha paura a infilarsi nei torridi territori dei super up-tempo (‘The Unborn’) e dei blast-beats (‘Cleansing Rain’). Attori attivi e non meri riproduttori di ritmi scolastici e noiosi. Tutt’altro.

Tornando ai brani, è assai arduo trovarne uno… fallato. Che sia, per meglio dire, un riempitivo o qualcosa di simile. No, ciascun episodio brilla di luce propria, scorrendo coerentemente con il resto della compagnia mantenendo tuttavia intatta la propria personalità, il proprio odore. L’uso abbondante della melodia non scade mai nello stucchevole, con ciò donando a chi ascolta singoli episodi la cui assimilazione non è proprio immediata, richiedendo nondimeno un buon numero di passaggi per poterne cogliere tutte le innumerevoli sfumature. Si può citare, fra le tante, la meravigliosa ‘Pure’, nobilitata da una voce femminile che funge da antitesi alla ruvida gola di Viljanen. Intrecciandosi, però, i due riescono a ottenere, quasi per magia, un effetto melodico grandioso, che non potrà mai essere dimenticato. Una traccia davvero memorabile, ricca di emozioni e sentimenti, profonda e toccante. Probabilmente la migliore interpretazione del death metal melodico, oggi.

Sì, poiché, al momento, i Mors Principium Est sono senza ombra di dubbio una delle più grandi realtà nel sottogenere di cui trattasi. E questo si deve rimarcare giacché essi correvano verso l’oblio. “Liberate the Unborn Inhumanity”. Da avere, da divorare, da ascoltare, da riascoltare.

Album top, ed è una rarità per una semplice operazione di restyling, che si spera vivamente non finisca del dimenticatoio.

Daniele “dani66” D’Adamo

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