Recensione: Light Years Away

Di Matteo Bevilacqua - 15 Aprile 2022 - 8:30
Light Years Away
70

Proposta decisamente interessante quella dei Welcome Coffee che con Light Years Away confezionano il secondo full length ufficiale. Forte della nuova line-up, la band triestina nel 2017 aveva colpito con l’EP  The Mirror Show, mettendo le carte in tavola per quello che sarebbe stato il loro nuovo trampolino di lancio. Eccoli dunque alla prova del fuoco.

Questo Light Years Away consta di 10 tracce, e ci presenta una band dallo stile che oscilla tra sonorità progressive e alternative rock anni ’90, con nette influenze hard & heavy.

Il sound è compatto, i brani risultano gradevoli sin dal primo ascolto e i nostri eseguono in modo sicuro e coeso.

L’opener “4th Dimension” riporta alla mente il lato più sognante dei Kamelot dei tempi di Epica, anche per la netta somiglianza tra il vocalist Andrea Scarcia con l’ugola di Roy Khan (per timbro, scelte melodiche e purtroppo per una presenza un tantino accentuata di autotune nella produzione) a cui vengono aggiunte tastiere sognanti. Il pezzo scorre bene e il songwriting semplice ed efficace rende l’esperienza memorabile. Ottima la chitarra di Alessandro Cassese che si propone con maturità senza strafare.

Con la sucessiva “She” si preme sull’acceleratore nel campo hard rock con ritmiche all’unisono di chitarra e tastiera. Una nota a parte proprio per l’uso anomalo delle tastiere, percepibile già nell’opener: il suono dello strumento è spaziale (e sicuramente si tratta di una scelta voluta, a supportare il concetto di “anni luce“) ma forse eccessivamente in primo piano, rischiando di penalizzare l’impatto generale. Il brano scorre senza lasciare particolarmente il segno.

Stessa sensazione percepita nella title track, brano che mette in mostra la matrice prog metal della band dove ancora una volta una presenza troppo marcata delle tastiere sfavorisce il sound complessivo. Ciò detto la qualità è ottima e colpisce lo stacco in chiave Opeth a metà brano.

Si cambia registro con “Sick”, una prog metal ballad intensa con un cantato che richiama i migliori Fates Warning. La forma canzone tradizionale si mischia perfettamente con il progressive, in cui attraverso melodie orecchiabili la band ci porta con se attraverso un percorso a mano a mano più intenso fino al meraviglioso assolo di chitarra. L’ambiente si sta scaldando.

Restiamo sempre nel territorio delle ballad con “Rainbows & Clouds” che, per lo stile del cantato e per le scelte compositive, mostra un’attidudine Americana spiazzante, a riprova del fatto che i Welcome Coffee si permettono di muoversi al di fuori dei loro stessi confini.

A metà strada tra il tema dei Ghostbusters e il suono dei vecchi giochi del NES, ecco l’intro di tastiera di “Ice in my Mouth” brano prog metal canonico caratterizzato da tempi irregolari e riff serrati. Le pesanti e cadenzate chitarre di scuola sabbathiana nel ritornello e gli splendidi assoli fanno pensare a come suonerebbe oggi Toni Iommi con 30 anni di meno se stesse imbracciando lo strumento con una nuova band.

Just Say No” attacca con un riff poco attraente. Portruppo, nonostante possa essere una carta sicuramente originale nel panorama odierno, è ancora da perfezionare il mix chitarra / tastiera nei riff portanti. Il brano complessivamente non colpisce affatto e mostra una natura quasi amatoriale, salvato in extremis dall’ottimo lavoro solista di Alessandro Cassese.

Fortunatamente arriva “We’ve Broken Up” a risollevare gli animi. Aperta da un ottimo giro di basso accompagnato da un synth pad delicato e chitarre pulite. Splendido il ritornello a metà strada tra il prog e l’AOR con un cantato ispirato seguito da un assolo di tastiera convincente da parte di Andrea Parlante su una base ritmica tipicamente progressive. A seguire un nuovo splendido assolo da fuoriclasse di Cassese, affascinante e ben costruito. A parere di chi scrive questo è il brano migliore dell’album, forte anche di una sezione ritmica compatta e moderna.

La ballad “Stolen Land” parte con una chitarra acustica evocativa che sorregge un’ottima parte vocale, sofferta e sognante. Nel ritornello la band prende delle scelte di accordi inaspettate che centrano il bersaglio e che potranno spezzare il cuore dell’ascoltare più critico.  Slendida inoltre l’alternanza con l’armonica da parte di Scarcia e ottimi come sempre gli assoli di chitarra, all’altezza del resto del lavoro compiuto finora.

Chiudiamo con “The Man Who Cried The World” brano che esordisce con un hard rock di matrice settantiana supportata dalla presenza di un sound hammond alle tastiere. Riff semplici sono alternati da momenti più introspettivi, quasi come se la band stesse tentando di incorporare i propri diversi profili in un unico brano. Davvero ben fatto l’assolo di tastiere finale.

Tirando le somme, non si può certo negare che “Light Years Away”  sia un album piacevole e ben costruito.  La prova vocale di Scarcia convince a pieni voti mentre gli assoli di Cassese contrattistinti da un sound pesantemente riverberato sono tutti caratterizzati da un perfetto mix di tecnica e gusto. Il sound complessivo è ben prodotto e rotondo e gli arrangiamenti della sezione ritmica lasciano molto spazio alle prove soliste (anche questo va tenuto in considerazione). L’uso originale delle tastiere che si mescolano e intrecciano con intelligenza ai riff di chitarra rappresenta un’arma a doppio taglio che non va assolutamente abbandonata ma perfezionata.

Il principale difetto tuttavia è che sembra che l’album sia stato direttamente prelevato (in modalita’ “pesca con il gancio“) dagli anni ’90, tralasciando 25 anni di progresso musicale, il che rischia di spiazzare l’ascoltatore in quanto non si capisce la reale intenzione di un prodotto del genere. Se poi analizziamo i videoclip dallo sfondo chiaramente ironico e l’ambiguo nome Welcome Coffee, questo senso di confusione è enfatizzato. Nostalgia e ironia paiono quindi elementi chiave nelle scelte stilistiche di una band che a livello di impatto e immagine rischia di uscirne fortemente penalizzata.

Ma la musica prima di tutto.

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