Recensione: Liminal Rite

Di Gianluca Fontanesi - 9 Giugno 2022 - 15:03
Liminal Rite
Band: Kardashev
Etichetta: Metal Blade
Genere: Death 
Anno: 2022
Nazione:
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79

La Metal Blade come sempre ci sente benissimo e, in questo periodo di calma piatta, pubblica Liminal Rite, seconda fatica dei Kardashev, che già avevano fatto ben sperare con l’ottimo debutto targato 2015. Sette anni sono un lasso di tempo piuttosto lungo per una band giovane; possiamo però affermare con certezza che ne sia valsa la pena.

Partiamo subito dalle conclusioni e diciamo che, finalmente, ci troviamo di fronte a un grande interprete: Mark Garrett sa cantare, e in un genere che richiede molte clean non è cosa scontata. Sa spaziare attraverso i registri più disparati e fa sempre la cosa giusta; il genere proposto dai Kardashev è, secondo le loro parole, deathgaze. Si prendono quindi elementi piuttosto brutali ibridandoli con momenti melodici ad alto tasso emotivo; siamo lontani dal diabete zuccheroso pacchianamente gratuito di certe band, questi fanno sul serio e si sente.

La cura e la complessità dei brani ricordano molto i vecchi Opeth e, nonostante il suo essere totalmente fuori stagione, Liminal Rite arriva a raggiungere picchi di eccellenza davvero elevati. Inutile citare un brano o un altro, o fare un verboso track by track che poco sarebbe utile a capire il disco; questa è un’opera che gioca sulle sensazioni e va metabolizzata e capita molto lentamente. Ci vuole tempo per entrare nel mondo dei Kardashev, non ti regalano nulla; le soddisfazioni però sul lungo periodo arrivano e difficilmente toglierete l’album dal lettore.

Le note dolenti, purtroppo, ci sono e sono inspiegabili. Il problema grosso di Liminal Rite è la produzione, che in certi casi l’ascolto lo compromette pure. La batteria non ha dei suoni ottimali ma ha soprattutto la cassa altissima: ci si trova spesso ad ascoltare una melodia vocale onirica con un “trrrrrrrr” di sottofondo che copre praticamente tutto il resto. La chitarra si sente a tratti ma mai bene; esce sulle note più basse poi si perde e nelle fasi più concitate bisogna davvero impegnarsi per capirne le note. Idem il basso, stessa funesta sorte. Il tutto esce dalle casse come un disco death metal che suona pop: bene quindi sui lenti, gli acustici e le parti più ambient mentre quando si accelera, si distorce o si passa al death i suoni non sono all’altezza. Sembra quasi di vedere qualcuno in studio toccare di nascosto la levetta del volume degli strumenti a corda con un’entità superiore che arriva a bacchettarlo in maniera violenta tipo maestra megera degli anni ’60.

Peccato, un vero peccato, perché nei suoi sessanta minuti e oltre Liminal Rite si rivela col tempo un lavoro eccezionale e ricco di sfaccettature. Date comunque un’opportunità ai Kardashev, meritano il vostro tempo, e se saprete approcciarvi nel modo giusto vi ripagheranno alla grande.  Ce ne fossero, di dischi così.

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