Recensione: Mark of The Beast

Di Enzo - 5 Gennaio 2004 - 0:00
Mark of The Beast
Band: Manilla Road
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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70

E’ strano oggigiorno il fatto che band come i Manilla Road siano sulla bocca di tutti quando negli anni passati era davvero un’impresa da titani riuscire a procurarsi un loro LP o un loro pezzo inciso su qualche cassetta, almeno per me. Ma oggi la situazione è cambiata, ed i Manilla Road sono conosciuti da una grande parte del pubblico metallers, ciò è indubbiamente una cosa buona in quanto ha permesso la ristampa di alcuni platter, autentici capolavori persi nel tempo, appannaggio fino a qualche anno fa di pochi fortunati metallers. Ma ciò ha anche i suoi lati negativi, infatti oggigiorno è quasi incredibile l’esaltazione intorno a queste band di culto, e questa esaltazione spesso si rivolta contro la band stessa, basta vedere ciò che avviene in Grecia dove a momenti i vari Cirith Ungol, Manilla Road ed altri magici gruppi del genere vengono paragonati ed addirittura elevati allo stesso rango, se non superiore, di acts come Judas Priest, Accept e molte altre big band. Ciò è palesemente ridicolo, senza nulla togliere alla grandezza e alla maestosità di queste band come Manilla Road, che hanno scritto pagine di superba bellezza nel magico libro dell’Heavy Metal più fiero ed eroico.
“Mark Of The Beast” è composto da tutte quelle tracce che furono scritte tra i due primi dischi della band, “Metal” ed “Invasion” e che furono scartate da Mark Shelton perchè non ritenute all’altezza del gruppo, quindi siamo di fronte a materiale scritto nel 1981.
Tali tracce furono successivamente in parte raccolte su un emblematico quanto ridicolo bootleg non ufficiale dal titolo “Dreams Of Eschaton” (posseduto dal sottoscritto). L’etichetta “Monster Records” ha avuto quindi la bella idea di prendere queste tracce e ristamparle ufficialmente e professionalmente una volta per tutte creando questo nuovo platter.
I sapori che si respirano sono indubbiamente quelli di un Heavy Metal ancora molto arcano e dalle forti reminescenze Hard Rock “seventy”, molte tracce appaiono abbastanza blande e scontate. Tuttavia se da una parte l’impostazione di numerose song non convince, dall’altra parte dobbiamo ammettere che in questo disco sono contenute autentiche gemme di un primordiale Epic Metal. Si, perchè canzoni come l’eroica Court Of Avalon caratterizzata dai suoi ancestrali refrain, da quella grezza irruenza tipica della band, da quelle forme di Epic Metal by Manilla Road abbastanza riconoscibile, elevano questa song e così questo disco ad assoluto culto. Impossivile non citare anche l’imponente Avatar, una cavalcata epica magniloquente dove la voce magica di Shelton assume tutte quelle caratteristiche cupe e misteriose che lo han reso uno dei più particolari singer che abbia mai avuto modo di ascoltare.
Altre song di spicco sono Dream Sequence, una bella strumentale e l’appassionante Teacher. Tuttavia lo spettacolo, aperto da track come Avatar e Court Of Avalon, riprende proprio dove l’album volge al termine, ed è qui che troviamo la fantascientifica e persa nel tempo Venusian Sea, con il suo metallo epico che assume i contorni di un bagliore di una stella persa in una dimenticata galassia nei menandri di un universo illuminato da perse luci di decadenti navi spaziali alla deriva di un oscuro mare, alla ricerca di un arcano mistero. Tutto ciò si respira in Venusian Sea.
Chiude l’opera Triunvirate che ci fa comprendere meglio parte delle origini arcane di questa musica grazie a refrain d’acciaio, freddi ed immersi in una marcata epicità, e come esimerci dall’intonare me magiche parole: Triunvirate just three of Us, Against The World…..”.
Alla fine questo è un disco che contiene sì al suo interno pezzi lontani dal sound della band, ma che dall’altra parte contiene brani pienamente in stile Manilla Road, arcani ed affascinanti, emblema di un movimento, un movimento che ben presto sarebbe stato chiamato Epic Metal.

Vincenzo Ferrara

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