Recensione: Mask of damnation

Di Gaetano Loffredo - 11 Marzo 2004 - 0:00
Mask of damnation
Band: Requiem
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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55

Seconda uscita per i Requiem, power metal band finlandese che si fece notare nel 2002 per il buon debut “The arrival” che ha venduto circa 10.000 copie. Per chi non li conoscesse, i Requiem vennero fondati nell’autunno del 1999 in una misconosciuta cittadina finlandese dal nome impronunciabile (Haapajarvi) da uno dei sei membri ora attivi in questa band: il chitarrista Arto Raisala.
Dopo un demo (“Gods Of War”) realizzato in quel periodo, e dopo un deciso cambio di line up che li portò a lasciare un genere di stampo Death/power stile Children of Bodom a favore di un Power sinfonico, i nordici registrarono come già detto, il primo loro album (the arrival) che li fece notare positivamente alla critica. Dopo un solo anno eccoli dunque alla prova del fuoco: “Mask Of Damnation” prodotto nei famosissimi Finnvox studios.
Innegabile al primo ascolto, l’accostamento ai Requiem dei ben più famosi gruppi dello stesso paese e parlo dei soliti noti: Sonata Arctica e Stratovarius che ormai vantano centinaia di band clone in tutto il mondo.
Detto questo si parte con un’ottima “Blinded” che ci regala atmosfere fantasy dettate da una dolce chitarra acustica introduttiva. Positivo l’attacco di chitarra elettrica in collaborazione con una veloce batteria e traspare dalle prime note un buon affiatamento della band. Non mi convincono appieno le vocals un po’ forzate e ai limiti del falsetto quando spinte troppo in alto, senza contare su un davvero bruttissimo filtraggio della voce qua e là durante il pezzo. Buoni i chorus e gli arrangiamenti, e sottolineo lo stupendo assolo di chitarra nel bel mezzo degli abbondanti 5 minuti e mezzo della song.
Se il lavoro si attestasse su questi livelli ci sarebbe di che divertirsi ma ahimè perde di tono già dalla successiva “The dying ember” che pur non raggiungendo livelli eccellenti supera decisamente la sufficienza. Molto veloce la partenza di questa song e sicuramente apprezzabile il soffice break centrale anche se sono ancora le vocals a rendere il tutto poco convincente dal punto di vista professionale.
Nei sei scarsi minuti della title track i Requiem tentano invano di reggere il confronto con le band ben più osannate e già citate in precedenza. Track molto epica, “Mask Of Damnation” si presenta come un mid-tempo retta quasi completamente sulla base di un sintetizzatore che non pare molto azzeccato. Sicuramente bocciata.
Con “Divine illusion” i Finlandesi ci riportano a ritmi più elevati e la batteria di Jari Huttunen scandisce velocissima il tempo che deve essere seguito dagli altri componenti.
Anche qui troviamo pecche dal punto di vista del songwriting; ed il pezzo mi ricorda fin troppo un’altra band scandinava: gli Insania di “Sunrise in Riverland”. La buona produzione non basta: dov’è la personalità?
Sperando di riuscire ad ascoltare qualcosa di originale mi accingo a premere il tasto play sulla song numero cinque, “Ethereal Journey” e devo dire che mi ritrovo di fronte ad un pezzo positivo (non superiamo di molto la sufficienza, sia chiaro) dove il gli assoli al centro della song la fanno da padrona (in pratica metà track è impermeata di assoli) e quantomeno rendono un po’ di originalità al prodotto.
“Strine of the ocean” è il brano che merita di essere ascoltato con particolare attenzione oltre la già descritta “Blinded” che apre il platter, un misto di influenze power-prog mettono in risalto gli strumenti che fino a questo momento mi sono apparsi un po’ giù di tono e l’ottimo chorus pare azzeccato per supportare tutto ciò.
Devo ammettere che a fatica ho raggiunto le ultime 2 tracce di questo “Mask of damnation” ma né “Dagger”, né “The Rival’s spell” mi sono apparse degne di nota e soprattutto sanno del solito maledetto sapore di già sentito un migliaio di volte da un migliaio di band diverse. La prima è un noiosissimo mid-tempo mentre la seconda appena più apprezzabile di conseguenza alla sua elevata velocità.
Non mi sento di condannare i Requiem in quanto punti a loro favore ce ne sono: produzione, qualche arrangiamento qua e la e qualche tocco di classe sparso per l’intiero album.
I punti negativi sono stati ampliamente descritti e vivisezionati e consiglierei questo lavoro solo a fan accaniti o a defender che non possono proprio fare a meno di sonorità alla Stratovarius.
Per conto mio, rimandati a settembre…(da dimenticare l’orrenda copertina).

Gaetano “Knightrider” Loffredo

Tracklist:

  1. Blinded
  2. The dying ember
  3. Mask of damnation
  4. Divine illusion
  5. Ethereal journey
  6. Shrine of the ocean
  7. Dagger
  8. The rival’s spell

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