Recensione: Metamorphosis

Di Eugenio Giordano - 9 Ottobre 2003 - 0:00
Metamorphosis
Band: Zero Hour
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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83

La Sensory Records rimette sul mercato la prima opera discografica degli statunitensi Zero Hour, questo “metamorphosis” inizialmente autoprodotto e qui ristampato con una qualità sonora ineccepibile e un artwork geniale affidato al talento dell’ormai notorio Travis Smith. Prima di addentrarmi nella recensione perdonatemi una breve digressione. Quando avevo 17 anni e facevo il liceo mi impegnai nella lettura di un libro che oggi vorrei non aver mai letto, si trattava della prima opera del tedesco Arthur Schopenhauer “sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente” datato 1813. Mentre la preoccupazione maggiore dei miei amici era perdere la verginità con la compagna di classe più carina e cercare di rimediare i soldi per uscire sabato sera io mi trovai a sottoporre la mia mente agli interrogativi e alle deduzioni di uno dei più sconcertanti geni concettuali della storia umana. Secondo lo scrittore le nostre esistenze sono misere e casuali, pervasi da una volontà inconscia di esistere che deriva da una realtà opprimente e malvagia, gli uomini vivono senza rendersi conto di essere invece condannati a vivere. L’azione umana, l’istinto, la volontà, ma soprattutto i sentimenti non sono che una cospirazione attuata dalla volontà dell’essere per farci vivere, nel vivere noi soffriamo enormemente, il desiderio continuo, il mancato appagamento, la solitudine, il pensiero mentale sono le macchine di tortura che la volontà dell’essere adopera per adescare gli esseri umani, illuderli e miseramente lasciarli in vita. Le poche menti umane che si rendono conto della loro misera e triste condizione non possono che uccidersi, il suicidio è la sola soluzione, ma anche in questo è insito il tranello della volontà dell’essere. L’unica consolazione alla esistenza è l’arte, e tra le arti la musica è la più nobile perchè astratta, totalmente irreale e priva di legami con la volontà dell’essere. Credo che un disco come questo “metamorphosis” ti faccia riflettere su tante cose, forse perchè ieri era il mio ventiduesimo compleanno, forse perchè infondo ho sempre condiviso quello che sosteneva Shopenhauer e ho sempre provato pena per me stesso e per i miei ventidue anni di esistenza, comunque questi cinquanta minuti di musica possono veramente rappresentare molto per i più acuti e riflessivi conoscitori della musica metal. Il disco si apre con “eyes of denial” che si presenta come una composizione compatta ed estremamente fluida, il gruppo mette subito in mostra tutta la sua tecnica e il suo talento compositivo, certo le strutture di un opener come questo possono essere colte e apprezzate solo dopo un attento ascolto. Molto più ambiziosa e ostica “the system remains” si riallaccia liricamente alle tematiche care agli amanti di George Orwell, oggi tanto speculate dagli autori cinematografici, vedasi i vari Matrix, mentre sotto il profilo musicale in questo episodio il gruppo si cimenta in strutture progressive dal grandissimo valore tencico e dalla notevole difficoltà per chi ascolta. Geniale e maggiormente raffinata sotto il profilo melodico “rebirth” vede gli Zero Hour cimentarsi con suoni potenti e grandi aperture pianistiche, in questo caso il prog metal del gruppo viene interpretato in maniera più lineare ma comunque siamo sempre al cospetto di un opera eclettica e di difficile acquisizione da parte dell’ascoltatore. Con “voice of reason” il gruppo compone l’episodio più progressivo e complesso dell’intero disco, qui gli Zero Hour mostrano tutta la loro preparazione tecnica ma anche il grande coraggio compositivo che li rende artefici di passaggi cambievoli e disorientanti, ma di grande effetto. Dopo il breve strumentale “a passage” che ricorda da vicino le ultime prove dei Death, ecco la suite “metamorphosis” che si divide in cinque canzoni legate tra loro per un totale di venti minuti di durata. Qui il gruppo passa in rassegna tutte le caratteristiche distintive del suo sound e si rivela ancora una volta ispiratissimo e difficilmente prevedibile da parte di chi ascolta. In coda vengono proposte le versioni demo, però hanno una produzione sonora perfetta, di “eyes of denial” e “jaded eyes” che pongono fine a questo “metamorphosis” nella maniera migliore. Per coloro che amano l’incarnazione più progressiva e tecnica della musica metal questo disco rappresenterà un capolavoro assoluto già nel raggio di pochi ascolti, invece mi sento di sconsigliare decisamente questi Zero Hour a coloro che cercano facili soluzioni melodiche e un approccio al metal più diretto e frontale.   

1 eyes of denial

2 the system remains

3 rebirth

4 voice of reason

5 a passage

6 metamorphosis

7 eyes of denial demo version

8 jaded eyes demo version    

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